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Ravenna, primi anni Cinquanta. Ogni giorno Mirto Benazzi scende in bicicletta dalla collina per andare in città ad aprire la sua Rivendita e Affitto velocipedi. Di fatto non ha mai visto molti clienti, men che meno in questo interminabile autunno di pioggia, ma se non altro in bottega, confortato da letture compagne di una rustica formazione intellettuale, riesce a imbrogliare il vuoto lasciato dalla morte della moglie. Finché una mattina non si presenta un cliente forestiero che chiede, con un italiano buffamente paludato, di noleggiare un velocipede e attrezzi di scavo portatili. Nei giorni seguenti, a sera, quell’uomo bizzarro riconsegna attrezzi e bicicletta incrostati di fango. Mirto si chiede dove e perché se ne vada a frugare lo straniero, e finalmente decide di offrirgli un bicchiere di vino al caldo dell’officina per vedere di capirne qualcosa. È l’inizio di un tortuoso mistero. Per nulla avvezzo all’alcool, lo straniero si congeda barcollando e dimenticando un grosso pacco sigillato. Mirto vi trova dentro una sorta di macchina per scrivere in apparenza mal funzionante. Sarà l’amico Memorio Ballanti, erudito bibliotecario con la passione per la storia e l’enigmistica, a riconoscere la vera natura del congegno: un dispositivo messo a punto in tempo di guerra dalle forze alleate per decifrare i messaggi in codice delle macchine “enigma” tedesche. Quando poi i due amici vengono a sapere che lo straniero si chiama Alan Sagrot, l’arcano si complica: si sa che Sagrot è uno degli inventori della macchina codificatrice ma si sa pure che è morto in missione di guerra. Così Mirto e Memorio diventano la strana coppia d’indagatori che attraversa una storia densa di sorprese, popolata di finti fachiri di Romagna, opulente amministratrici di bordelli, beccamorti paranoici, poliziotti fascisti transitati senza dolore in un’esitante Repubblica italiana. Una storia giocata su una pluralità di linguaggi e registri e con un’agilità di toni che sa tenere insieme comico e drammatico.
Luca Ciarabelli (Città di Castello, 1971), vive da tempo nella nobile città di Ravenna, e a volte in quella meno nobile di Puerto Angel (Messico). Ha esordito con Il bambino che fumava le prugne (Il Maestrale 2008), seguito da Il paese dei Pescidoro (Il Maestrale 2009).
Paolo Casadio (Ravenna, 1955), figlio di una generazione cui i genitori non insegnavano il dialetto, si affeziona alla espressività della lingua romagnola e al suo corrompersi con l’italiano. Inevitabile l’incontro con Ciarabelli, e la scrittura insieme di Alan Sagrot, suo primo romanzo.
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