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Questo romanzo racconta la vita di Bernardino Dadèa (Tempio 1823 - Torino 1879): medico che nella seconda metà dell’Ottocento acquistò fama internazionale, diventando uno degli omeopati più famosi e ricercati. Nel suo studio torinese, Bernardino, ormai fiaccato da una malattia che sa non gli lascerà scampo, ripercorre in una sola notte la sua esistenza tormentata. Il ricordo va prima all’infanzia trascorsa a Tempio: la sua città amata-odiata, lontana nel tempo e nello spazio, ‘capitale’ della Gallura, nella Sardegna settentrionale. Lì la sua giovinezza è stata segnata da un avvenimento scioccante che lo ha visto protagonista e si è rivelato determinante nella decisione di diventare medico. Bernardino ripensa al proprio impegno a favore della verità e contro l’ipocrisia che l’aveva portato a schierarsi, giovane dottore, con i democratici, avversario del conservatorismo di una Chiesa che fondava i suoi privilegi sulla ignoranza del popolo; ripensa al drammatico capodanno del 1848, all’assalto armato subìto che l’ha costretto a fuggire dalla Sardegna, inseguito dalle minacce di morte dei sicari e dei loro mandanti altolocati. Quindi l’arrivo a Torino, esule e solo, la bellezza algida della città e l’incontro con l’omeopatia e con una vocazione totalizzante che lo porterà a combattere battaglie in difesa della medicina dei simili, opposto allo scetticismo, agli attacchi e ai sabotaggi della medicina tradizionale. Bernardino rivede, non senza rimpianti e recriminazioni, la sua famiglia, la sua giovane sposa e l’adorata figlia e le altre donne della sua vita. Ripensa alla sua esistenza vissuta all’insegna del tutto e subito, ossessionato da una volontà incoercibile e distruttiva.
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