[...] Un romanzo di formazione, quindi, che a tratti ci ha ricordato l'Arturo di Elsa Morante; ma anche un delicato racconto di piccole isole di fratellanza: l'amicizia con il fragile Emilio Nonne, figura che incarna tante vittime della violenza familiare e nei cui tratti pallidi riconosciamo amici e antenati la cui storia giunge fino a noi; una bottegaia dedita a un presepe, accogliente e di poche domande; la repubblica de "I bambini", se così la si può definire, presso la quale il giovane decide di restare per un po', perdendo la sedia ormai divenuta superflua; fino a una tenerissima e inarrestabile storia d'amore, scritta come sempre Capitta scrive l'amore. Sono pagine piene di una felicità incontenibile, quale la provano solo gli innamorati, il cui tempo si dilata e si concentra al tempo stesso, divenendo istante che non finisce. Accadeva a Rosario e Bianca, in Creaturine; accade qui a Giuliano e Maddalena, chiamati l'uno all'altra senza pausa, senza intermezzo. Se la morte data dall'uomo è piatta, noiosa, ripetitiva – squadra i volti, i pensieri, le azioni –, l'eros coincide tutto con il lussureggiare di una natura che si fa pelle di sale, arbusto, vento, viscere d'animale fra le mani di un tenero e disperato veterinario. Non ci viene in mente nessun altro scrittore contemporaneo – a parte il poeta Nino De Vita, capace di riportare tutto in vita con il siciliano – che abbia simili sensibilità e competenza linguistica nei riguardi di quella natura dalla quale ormai ci sentiamo irrimediabilmente separati. Nominando (e talvolta occorre munirsi di un buon dizionario), è come se Capitta cercasse di riannodare fili lacerati, costringendoci a un ascolto e a uno sguardo che a tratti si rivela impossibile, immersi come siamo nei suoni urbani, nelle colate grigio asfalto. Manca il fiato. [...]
Sara Honegger