Bella ma soprattutto inquietante la copertina (foto Ico Gasparri) con le scarpe vuote arrampicate su vecchi scalini. Ma i corpi dove sono finiti? O siamo noi che non li vediamo?
C’è chi compra i libri per la copertina e spesso sbaglia. Questa volta no: Ogni madre di Savina Dolores Massa (d’ora in poi Sdm) non tradisce. Né resta deluso chi invece cercava proprio lei perché leggendo i precedenti Undici e Mia Figlia follia – come questo pubblicati da Il Maestrale – s’era innamorato della scrittrice oristanese.
Tredici storie “di denuncia sociale” ambientate fra il 1870 e gli anni ‘60 del Novecento. Vero e falso. Perché in quella gabbia storica, da lei ricostruita, in quelle scarpe troppo visibili, Sdm non vuole richiudersi: lei va a caccia dei corpi (abitati da amori, dolori, magie) quasi sempre cancellati dalla storia con la maiuscola.
Come nel primo racconto Chischedda: intorno al taglio dei boschi e al fantasma di treno “che porta la civiltà” fra i sardi, ma parla una lingua diversa dalla loro, ci sono donne dagli occhi spenti, spunta subito una misteriosa, invocata Sofia che conosceremo strada facendo, si affacciano bizzarre convinzioni («piangere da fermi è cosa da signori») ma soprattutto a chiedersi se «l’Ottocento fosse l’epoca più sfortunata nella storia dell’umanità».
Di certo sfortunate le donne che servono sotto i baroni perché gli stupri sono la norma ma «Anna è strana», sta sempre zitta; l’unica volta che parla a don Giannino sa mandarlo in confusione: «capire che al mondo poteva esistere qualcosa di non suo lo frastornò».
Nel raccontare vicende vere e ben note – lo sciopero del 1904 a Buggerru, schiacciato nel sangue – l’autrice rovescia le convenzioni narrative: Giustino si sta pettinando in uno specchio mezzo cancellato dalla muffa e pensa a Maria che ha «la voce di bisbigli e frusciate ventose né calde né fredde», ai sogni inverosimili di «allevare aquile parlanti», al mare assassino. Arrivano i colpi e i morti; chissà se è «chiasso per le nostre nozze».
Così i due racconti che si intrecciano al tragico bombardamento su Paulilatino, il 14 maggio 1943.
Nel primo, Sdm guida chi legge verso l’unico finale possibile e poi, nell’ultima riga, offre tutta un’altra verità. Nel secondo racconto gli indizi convergono nella direzione sbagliata perché non conosciamo quel piccolo particolare che dà un altro senso al quadro. Le uniche due storie strettamente collegate sono il rovescio d’amore, un corpo di donna diventato invisibile (come quello della copertina) che entra in competizione – senza saperlo – con l’occupazione delle terre nel marzo 1950. Ambizioni, miserie, minacce, orgoglio, sogni di bambini in 4 racconti ambientati negli anni ’60 con personaggi difficili da dimenticare come le due donne, Arraffiella e Vincenza (con gli occhi bidri-grogu) nell’ultima storia, che dà il titolo all’antologia. "Incantatrice ma spesso amara Isola” dichiara Sdm nella dedica iniziale. Le prime 4 parole definiscono perfettamente la sua scrittura. A libro letto si può riguardare la foto di copertina: abbiamo ritrovato alcuni corpi perduti. Non vi sembri poco.