La lettura de Le torri di Atlantide. Identità e suggestioni preistoriche in Sardegna ha l’effetto di un vaccino: è utile a immunizzare chiunque voglia decodificare e raccontare la civiltà dei sardi, dalla tentazione di impiegare gli strumenti propri della storia per legittimare i bisogni identitari di un popolo che, nella costruzione di una memoria collettiva, ambisce alla sua emancipazione. I misteri dei monumenti di pietra che affollano le campagne – regno di fate, guerrieri e giganti – ben supportano l’immagine gloriosa che, irrazionale e pre-infantile, affonda nel passato «per rifiutare un presente che rinnega». Ciò che sorprende è che un approccio così maturo al problema arrivi da un giovane studioso. Fabrizio Frongia, classe 1980, laureato in Lettere e allievo della Scuola di Archivistica di Cagliari, fruga nei laboratori che dagli inizi dell’Ottocento, con le famigerate Carte d’Arborea e fino alla suggestiva ipotesi di identificare Atlantide con la Sardegna, hanno sfornato falsi e invenzioni per addomesticare la storia.
Il passato. Egli rivendica quindi per il passato dei sardi «uno studio attento, faticoso, possibilmente con gli strumenti adeguati, quelli stratigrafici dell’archeologia». Con questo obiettivo offre il suo lavoro (oggetto della tesi di laurea e ora proposto da Il Maestrale) al giudizio di chi si accosta alla lettura e decide di cercare nel corso della storia – lungi dalle derive narcisistiche dell’autocompiacimento – una memoria condivisa fondata sullo statuto dell’oggettività: «È il minimo che vorrei si cogliesse da questo libro», auspica. Da qui prende avvio una pars destruens che – svolgendosi in quattro capitoli – attraversa «i luoghi storiografici dell’identità» (così Marcello Madau nella prefazione al volume) e non risparmia coloro che hanno dato fiato alla loro definizione. Così Ampsicora ed Eleonora D’Arborea – testate d’angolo di una teoria della costante resistenziale sarda che Frongia non ha timore reverenziale di far traballare – sono sottoposti a un processo di critica che si configura come lacerante rispetto alle secolari elucubrazione della mitopoietica.
Frau e Atlantide. Un ambito a cui l’autore ascrive anche il tentativo del giornalista Sergio Frau di fondare, sulla pregiudiziale attendibilità della testimonianza di Platone, l’ipotesi che – affrancandosi dalle prove della scienza – ha regalato la bella illusione che la Sardegna altro non sia che l’erede dell’aurea Atlantide. Un regno dell’opulenza che ben si presta a risvegliare ambizioni politiche intorpidite dal sonno delle glorie patrie e dal progressivo declino della storia. Così – a bene vedere tra gli atti adottati dalla Regione – quel mito leggendario è stato utile per accarezzare progetti di sviluppo che le politiche industriali della ‘rinascita’ hanno accompagnato verso il naufragio. È una visione pessimistica quindi quella a cui il volume approda? Tutt’altro. L’opera intende preservare il sogno dello studioso, ma mettere al riparo la storia dallo tsunami della fantasia. «Le nostre “Pietre”, quelle di Sardegna – conclude Frongia – stanno ancora lì pronte a sopravvivere ancora ai tanti Lilliu che verranno; ai loro sogni e alle loro passioni. Chissà che anch’esse, in silenzio, non attendano altro che questa storia venga finalmente raccontata: pure a loro, del resto, piacerà essere amate per quello che sono».