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Novembre 9, 2010
Mia figlia follia

“Ad essere stupidi si comanda il mondo e conto non se ne dà a nessuno, né di sbagli, né di meriti.” Maddalenina, la protagonista del secondo romanzo di Savina Dolores Massa, edito da Il Maestrale di Nuoro, è una minorata psichica, una reietta dalla comunità in cui vive. “Di bassa statura, vecchia e ossuta, gli occhi a fessura per una miopia che lei non sapeva essere un difetto correggibile della vista, un paio di scarpe deformi quanto chi le calzava” decide al compimento del cinquantesimo compleanno di generare una figlia. Non uno, ma tre coloro che dovrebbero fecondarla: Graziano Lucente, rampollo di una famiglia di notabili locali, Quirico Malannata, agricoltore e allevatore, Rocco delle Spezie, un insegnante. Nessuno dei tre potrà però fecondarla, “non uno che ha perso i genitali per disgrazia, non un ragazzino che ancora non si conosce il membro eretto, non un vecchio omosessuale, che a parte il suo rifiuto per le donne, immagino conservi il proprio contenuto di mutande assieme ad abbondante naftalina”. Ma il ventre di Maddalenina prende però a gonfiarsi; si scoprirà più tardi, per un tumore intestinale, come ne “L’inganno” di Thomas Mann.
La storia si svolge in un tempo e in un luogo indefiniti, ma non del tutto, per chi conosce luoghi e personaggi dei luoghi. Il racconto è percorso da un dialogo costante con Maria Carta, un’anziana guaritrice, muta: dunque, non propriamente un dialogo ma l’interlocuzione con un’alterità che potrebbe definirsi memoria comunitaria, che si dipana lentamente compattando una sorta di tessuto connettivo della storia. O meglio, delle storie, robustamente descritte che s’intrecciano esplodendo, da ultimo, come bengala nella nera notte dell’epilogo imprevisto del romanzo, di cui non diremo.
Una storia, come in Undici – precedente romanzo dell’autrice – che non racconta di un’umanità baciata dalla fortuna e del successo, ma di quella ai margini, miserabile, imperfetta e respingente. Deandreianamente, del resto, è “dal letame (che) nascono i fiori”. Eppure proprio quel fondo creaturale che tutti accomuna, negli istinti (“E’ possibile che l’istinto sia l’unico sentimento sincero, fra i tanti esistenti?”) e nei sentimenti, sa renderci partecipi delle vite e dei destini dei protagonisti, della loro sofferenza e disillusione, dell’immancabile declino della parabola esistenziale.
La scrittura è uno dei punti di forza di questo romanzo, con la sua affabulazione giocosa e godibile, la fluidità del dettato, l’originalità e forza descrittiva; ne avvertiamo la distanza da certo immaginario scontato e prevedibile, dalla povertà sintattica che contraddistingue molta narrativa seriale. Uno stile maturo e sicuro, insomma, anche nell’azzardo inventivo.

*

“…Mi erano rimaste lenticchie di ieri, e quelle ho mangiato oggi. Poi sono uscita a passeggio, ché la bambina deve abituarsi al brutto tempo e a prendere aria sempre. Quando è uscito in cielo le ho detto, Guarda che bello l’arcobaleno amore di mamma, ma non lo so cosa ha visto perché ho pensato, dopo, Cosa ne sa la bambina chi è un arcobaleno, mi ero dimenticata di indicarlo con il dito. Magari ha visto il cane che mi stava facendo compagnia e ha creduto fosse quello, Arcobaleno. Sono stata bene, in giro, nessuno mi ha detto, Vattene a casa. Non mi piace quando c’è troppa gente e io ho quella speranza che qualcuno non mi dica, Vattene a casa, ma mi dica, E come stai Maddalenina? Vieni a casa a farmi una visita, Maddalenina. Uno di questi giorni passo da te a bere il caffè e a guardare i tuoi celtrini, Maddalenina. Molte persone camminano sempre a due a due, io, quando piove, non ho neanche la mia ombra appresso. Sto bene se mi vedo doppia in qualche vetro, mi passa un po’ il mal di cuore che non ho capito perché mi viene, quando sono in giro, il mal di cuore. Tu credi che dovrei dirglielo al mio dottore, di questo mal di cuore?”

Savina Dolores MASSA
Mia figlia follia
Edizioni Il Maestrale (Nuoro, 2010)


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