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Febbraio 20, 2011
Quando la Storia si libera dai localismi. Isola protagonista nell'età del disordine,

Frutto di una ventennale ricerca in archivi e biblioteche italiane ed europee, questo volume si distacca da altre recenti proposte editoriali sulla storia della Sardegna per la modernita'? dell'impianto metodologico, la profondita'? dell'analisi, la forte passione etica, l'organicita'? della concezione. La narrazione degli avvenimenti all'interno del paradigma comparativo con gli altri regni catalano-aragonesi, gli antichi Stati italiani e le grandi monarchie nazionali da? all'opera una dimensione internazionale liberando definitivamente la storia sarda da quei localismi che hanno talvolta consentito a sedicenti storici di propagandare fantasie e asserzioni della loro fertile mente come verita'? acquisite. Il volume appare una felice sintesi tra le esigenze di conoscenza dei secoli di dominio ispanico (tra i piu' controversi e politicamente dibattuti) e il progetto d'inserimento della storia della Sardegna nell'ambito della storia mediterranea ed europea. L'articolazione dell'0pera colma molte delle lacune che, malgrado gli encomiabili sforzi di una piccola pattuglia di storici modernisti, hanno pesato sino a tempi recenti sulla storia sarda. Anche se, a meta'? degli anni ‘80 del secolo scorso, la pubblicazione dei lavori di Bruno Anatra aveva chiarito diversi aspetti del tormentato rapporto Sardegna/Spagna aprendo ampi squarci sulla vita civile, politica e culturale, risultava ancora radicata una certa tradizione storiografica che, sulla scia del Manno e del Loddo Canepa, sottolineava gli effetti nefasti della dominazione spagnola e in pari tempo i progressi realizzati dall’isola sotto la “lungimirante” guida dei ministri piemontesi. L'autorevole avallo fornito dal Venturi e dal Ricuperati alla tesi che attribuiva alla Spagna l'intera responsabilita'? dei ritardi civili ed economici della Sardegna e l'acritico sostegno offerto ad essa da alcuni storici locali, hanno contribuito al permanere di tali convinzioni fino ai tempi recenti. Francesco Manconi si e' trovato dunque di fronte molti scheletri storiografici. Per superarli ha affrontato i problemi piu' spinosi offrendo una convincente risposta su alcuni fondamentali nodi interpretativi. Nel primo capitolo del libro chiarisce la natura dei vincoli tra le élites sarde e la Corona d'Aragona seguendo il lento affermarsi della preminenza regia sull'anarchia feudale. A questo proposito segnaliamo l’originale interpretazione dei vincoli “indissolubili” con la Catalogna, frutto di una comune identità culturale; i caratteri assunti in Sardegna dall’anarchia feudale nel ‘400; il ritiro della vecchia aristocrazia e l’emergere di una nuova feudalità; il ruolo delle oligarchie urbane e l’intricata rete di interessi familiari che nel ‘500 lega nobiltà, clero, Inquisizione. Per la prima volta le dinamiche sociali vengono studiate non come frutto dell’azione anonima di ceti e corpi rappresentativi ma attraverso l’opera di singoli protagonisti, dei loro interessi ed alleanze. Emergono così dalla massa amorfa il vicerè Cardona, Salvador Aymerich, Alonso Carrillo, l’inquisitore Sanna e il vescovo Vaguer, che nelle pagine di Manconi assumono dimensione mediterranea quando tessono trame che richiamano vicende accadute in Aragona o in Sicilia. Tra i temi più significativi ricordiamo le pagine sulla natura composita dei rapporti fra Monarchia e Regno, sulla progressiva integrazione dell’isola nel sistema imperiale spagnolo, sul ruolo della Chiesa nello svecchiamento culturale e civile della società, sul protagonismo dei ceti privilegiati quando la politica dell’Unione delle armi consente ai sardi di recuperare un’effettiva eguaglianza politica con gli altri regni della Monarchia ispanica. Le vicende del Seicento appaiono caratterizzate da una particolare vivacità di racconto, grazie alla profonda conoscenza del periodo da parte dell’autore (ricordiamo il libro sulla peste Castigo de Dios e il prezioso volumetto sui conflitti municipali Tener la patria gloriosa). La lettura del ventennio di governo del duca di Lerma (1600-1620) in chiave di clientele e di patronage politico dà uno spaccato della società sarda in piena trasformazione culturale, religiosa, sociale ed economica. Anche il capitolo sulla Unión de Armas appare assai innovativo: da regno negletto ed emarginato quello sardo diventa uno dei protagonisti della guerra dei Trent’anni ed i nobili dell’isola, muovendosi con il tercio sardo tra Piemonte, Fiandre, Catalogna, Sicilia, Napoli, apprendono non solo il mestiere delle armi ma anche una mentalità e una cultura europea. Alla guerra dei Trent’anni e alle sue conseguenze nell’isola sono dedicati gli ultimi capitoli che evidenziano l’indebitamento del regno, l’impoverimento della popolazione, la peste e la crisi demografica, il “disordine” politico e sociale esaltato dalla piaga del banditismo. L’ultimo cinquantennio di governo spagnolo è stato per la Sardegna quello più movimentato e tragico. Non a caso Manconi lo definisce “l’età del disordine”: dopo un trentennio di guerre la Corona ispanica è esausta, il regno indebitato, l’inflazione galoppante, la nobiltà allo stremo. Banditismo, sopraffazioni, ribellismo politico si configurano come inattesi corollari del marasma sociale in cui, per lealtà alla Corona, il regno di Sardegna è sprofondato. Per la sistematica comparazione delle vicende sarde con quelle degli altri regni ispanici e l’attenzione ai differenti esiti che esse hanno avuto nelle diverse aree europee, per la finezza interpretativa delle questioni storiografiche rimaste in sospeso, per la ricchezza di fonti e argomentazioni, il libro di Manconi può essere considerato un punto di riferimento obbligato sulla storia della Sardegna moderna.


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