Uno scrittore esordiente vince un importante concorso letterario raccontando la storia di uno scrittore mediocre che, a sua volta, racconta la vita «del più grande scrittore di tutti i tempi». Un garbuglio in cui si mescolano realtà e finzione, perché Alessandro De Roma, trentasette anni, è davvero l’ultimo talento uscito dalla scuderia Maestrale. E ieri sera, a Villacidro, si è aggiudicato il «Premio Dessì» nella sezione narrativa con il romanzo Vita e morte di Ludovico Lauter (che, nella fantasia, è appunto il grande scrittore raccontato dal mediocre Ettore Fossoli). Trama assai curiosa. «In realtà – spiega l’autore – la mediocrità è una condizione tipica di molti narratori».
- De Roma, senza svelare i colpi di scena del suo romanzo, cosa spinge Fossoli a scrivere sulla vita di Lauter?
«Fossoli fa un’indagine su se stesso attraverso lo scrittore che ha creato».
- Lei, dal punto di vista caratteriale, a quale dei due personaggi del libro si sente più vicino?
«A nessuno dei due. Anche se poi è chiaro che un autore può sempre ritrovare nei personaggi delle proprie opere alcuni suoi tratti umani».
- Nel suo libro c’è anche un terzo scrittore.
«Lo zio tedesco. È una figura che rappresenta l’anima vera del romanziere. Un tipo che comunica con il mondo soltanto attraverso le storie. Diciamo pure che fa di tutto per uscire dal suo piccolo universo sfruttando la letteratura. In fondo è così che succede a chi scrive libri».
- La sua narrazione si sviluppa in un ampissimo arco temporale. Quanto è complicato passare per epoche così diverse?
« Effettivamente non è semplice, ma una volta che hai ben chiara la vita dei tuoi personaggi le difficoltà vengono meno. Io nel mio libro ho giocato molto sulla Seconda Guerra Mondiale perché era mia intenzione approfondire questo argomento. Poi ho fatto un viaggio nei modi diversi di fare letteratura, confrontando ad esempio Germania e Italia».
- Differenze?
«La letteratura tedesca è decisamente più impregnata di filosofia».
- Il personaggio Lauter vive a Cagliari nel periodo in cui arrivano gli americani, nel ’44. Che città dipinge nel suo romanzo?
«Una città molto ospitale nei confronti di chi l’ha bombardata e in buona parte devastata. Io vivo a Cagliari nel quartiere Stampace, che ancora oggi porta i segni delle incursioni aeree americane. È curioso come nemici mortali si trasformino da un giorno all’altro in grandi amici. Cagliari mi sembra proprio un esempio di questa curiosità».
- Parliamo del dibattito che si è svolto venerdì a Villacidro sulla nouvelle vague sarda. Lei è d’accordo con chi sostiene che tutto è cominciato con Sergio Atzeni?
«Atzeni è certamente uno scrittore che ha creato nuove strade, spingendo con le sue opere tanto diverse tra loro molti romanzieri isolani a scrivere. Tuttavia io non vedo un solco tra Atzeni e, ad esempio, Giuseppe Dessì o Salvatore Satta. In fondo in tutto il Novecento c’è stata una scuola sarda».
- Lei che libri legge?
«Prediligo quelli che riescono a spiazzarmi: letteratura americana e inglese, ma se devo fare due nomi dico Elsa Morante e Salvatore Satta. “Il giorno del giudizio” è un libro meraviglioso, dimostra come parlando di un luogo piccolo, Nuoro, si possa raccontare una storia universale».
Andrea Massidda, "La Nuova Sardegna", 16 settembre 2007