"Uno scrittore plurale". Questa la definizione che "passa" per uno come Carmine Abate: la sua avventura narrativa, nata in Calabria, in territorio arberesh, maturata in Germania, negli anni della sua emigrazione, dove prende vita il suo primo libro di narrativa in lingua tedesca, finalmente approdata nel nostro complicatissimo panorama editoriale, è diventata un esempio di cosmopolitismo. Da allora, Abate inanella una serie di prove narrative molto convincenti, alcune delle quali sono diventate un cult per la scrittura multiculturale, come Il ballo tondo e La moto di Skanderbeg. Viso cordiale, aperto Carmine Abate esprime con parole denso il suo credo umano e culturale, per il quale le parole sono veicolo che supera le barriere, quelle intime, che fanno di ogni uomo un'isola, quelle internazionali, che sembrano relegare ogni popolo di lettori in una storia chiusa. Qualche anno fa ebbi occasione di presentare un suo libro e mi resi conto che avrei sentito parlare molto di lui. Ora ricevo una raccolta di poesie, pubblicate da Il Maestrale, casa editrice sarda che si distingue per l'apertura al nuovo. Singolarmente esplicito il titolo della raccolta: Terre di andata, cui il lettore può dare una identità. Le terre d'andata sono quelle da cui si parte per non tornarvi: sono, evidentemente, le terre d'emigrazione, il Sud in genere (il Sud del mondo!?) dal quale ci si deve staccare spesso per trovare una condizione esistenziale accettabile. Sono le terre stesse dalle quali Abate è partito, tanti anni fa, da emigrante. Le terre che poi ti restano dentro per sempre, a reclamare la memoria, il passato. Ma le terre di andata sono anche dimensioni spirituali. La propria anima dalla quale si parte alla ricerca di una patria fuori di sé. E la soluzione è una dimensione spirituale dell'esistere che dà una patria concreta al proprio cuore: l'amore per una donna, "L'estremo, aperto confine delle terre di andata".
Il primo nucleo delle poesie raccolte in Terre di andata – avverte lo stesso autore – risale alla fine degli anni Settanta quando viveva in Germania. Le altre tre sezioni sono scritte in periodi successivi, fino all'ultimo "Dimore di noi" dedicato a una donna, "l'unico punto fisso di questa altalena incessante tra Sud e Nord". Lo spaesamento descritto in poesie precedenti, come nei versi: "Spezzai l'incanto/ con la pazzia consueta/ in un altro luogo/ e le gocce d'amaro/ riversate nella grande coppa/ - ciao ciao ciao/ ti sembreranno dolci", trova, nell'ultima raccolta, degli esiti certi. Come in "Sempre": "di riflesso crescevano le pupille / azzurre – sarà stato l'attimo atteso / o quell'altra o un'altra o l'altra / volgarità promiscua – mi amerai sempre? / «Ti amo, non ti basta? Il tuo stupido sempre» // ritornando indietro – al calore del tuo corpo / al calore di candela alle foglie ingigantite / sul soffitto – sulle orme del passato / perdona l'arguzia del dubbio e i bambini / che giocavano nell'afa. Vuoi già dormire?"