Antioco Zucca: chi era costui? Confesso che non ne sapevo nulla, prima di leggere il bel libro di Sergio Sotgiu pubblicato da Il Maestrale, con un titolo che già implica un preciso giudizio storico-critico: “L’armonia impossibile. Antioco Zucca filosofo e poeta dell’infinito”. Bisognerà aggiungere che il libro, oltre all’articolato ed elegante saggio introduttivo, indispensabile vadecum, presenta una folta antologia degli scritti che testimonia assai bene dell’ampia gamma di interessi e della disposizione assolutamente eterodossa e originale del filosofo sardo, nato nel 1870 a Villaurbana, un piccolo paese dell’oristanese, e lì morto, dopo molte peregrinazioni, nel 1960. Eppure, Zucca si rivela interessante sin dalla biografia. Partito da posizioni carducciane – difficilmente eludibili per chi, in quegli anni, si laureasse a Bologna (fu anche amico di Panzacchi e Stecchetti) –, pubblica ancora studente un libro come “L’uomo e l’infinito”, curioso dialogo filosofico in cui le premesse materialistiche vengono subito complicate da quell’anelito all’infinito, da quella tensione precoce, che Sotgiu sintetizza bene nelle tre epigrafi poste in limine al volume, ricavate da Schnitzler, Rimbaud e, soprattutto, Sorel: «Quel che v’è di migliore nella scienza moderna è il tormento dell’infinito». È in questo contesto che matura, infatti, “Il lamento del genio” (1898), un poemetto satirico contro Lombroso e le sue tesi relative alla stretta connessione tra genio e fattori degenerativi. Un percorso, quello di Zucca, assai lungo e denso di interventi, che culminerà nell’opera “I rapporti fra l’individuo e l’universo” (1937), vera e propria summa capitolativa del suo pensiero (620 pagine per 17 anni di lavoro). Mi piace ricordare, infine, la stima che ricevette dal premio Nobel Sully Prudhomme, il cantore del progresso scientifico. È bene sottolineare, però, che il pregio della riproposta non sta solo nelle sue qualità filologiche e storico-erudite, ma nel valore, diciamo così, militante. Non sto qui a citare le pagine, davvero suggestive, dedicate al rapporto, di consentaneità sempre più divaricata, tra Zucca e un grande anomalo come Giuseppe Rensi, di cui Sotgiu, per altro, è studioso di prim’ordine. Mi riferisco a ciò che già si palesa nell’endiadi del sottotitolo: “ poeta e filosofo dell’infinito”. Siamo, ormai, in un’età in cui la filosofia conosce un processo, chissà se irreversibile, di estetizzazione, nella convinzione che non esistano più verità, ma solo narrazioni. Sicché, in quell’endiadi, al di là dell’attività di poeta di Zucca, non si può non cogliere un’indicazione di modernità, se non di attualità, confermata dalle ultime pagine del saggio di Sotgiu, intitolate Borges, un compagno di viaggio – il Borges della conferenza “L’immortalità e lo spasimo per l’infinito” (1978) –, che celebrano Zucca come uno di quei pensatori che, con un certo anticipo sull’oggi, si sono assunti «il compito, grandioso nella sua umiltà, di dimostrare la potenza nascosta e la sua suasiva incidenza delle indicazioni poetiche».
Massimo Onofri