Ha 14 anni, l’autrice di questo libro, quando una sera d’ottobre del 1992 il suo sguardo inciampa in televisione nel viso spigoloso e fiero di Matteo Boe: il bandito sardo che sequestrò (fra gli altri) il piccolo Farouk Kassam, una vicenda che tenne con il fiato sospeso l’Italia, mobilitò la politica, creò uno strascico di polemiche e di misteri. Lo hanno appena catturato dopo la rocambolesca fuga dal carcere-isola dell’Asinara da dove nessuno è mai riuscito a fuggire. Vent’anni dopo, nel febbraio 2012, Laura Secci, diventata giornalista, decide di scrivergli nel carcere dove Boe sta scontando 30 anni. Due righe di presentazione e una richiesta diretta: un’intervista. È quasi certa che non avrà risposta ma dopo due settimane riceve poche righe scritte in stampatello: «Sento il dovere di rispondere, per educazione, anche se i giornalisti non sono i miei interlocutori preferiti. Meno che mai una che scappa dalla sua terra per scrivere sul giornale degli Agnelli. Rifiuto quindi la sua richiesta d’intervista, i media padronali e generalisti non rappresentano un veicolo appropriato per le mie idee. Le auguro buon lavoro». L’autrice risponde alla provocazione, ne nasce uno scambio epistolare e poi una serie di colloqui nel carcere di Opera, sezione Alta sicurezza. Il materiale raccolto, fra lettere e conversazioni, è diventato questa biografia romanzata che, raccontando fra l’altro la stagione dei sequestri di persona, la rocambolesca evasione dal supercarcere dell’Asinara, la scarcerazione nel 2017 dopo 25 anni di detenzione, cerca di rispondere alle domande essenziali: chi è Matteo Boe? Perché un ragazzo colto, benestante, studente nella Bologna turbolenta degli anni Settanta, decide di fare il bandito?