Roma, marzo 1978. Un commissario di polizia nato a Sassari e residente da anni in “continente”, Luigi Longo (omonimo dell’ultimo segretario del Pci prima di Enrico Berlinguer), commette un reato nei locali della questura. Un giovane scompare e i familiari temono sia stato sequestrato; alcune persone muoiono in circostanze imprevedibili. Vicinissimi a tutto ciò si svolgono intanto gli eventi e le tragedie del terrorismo. Il caso del giovane scomparso viene affidato a Longo e le indagini lo porteranno lontano, al seguito di false piste e delle sue molte ossessioni. Vediamo così Luigi Longo, vedovo di mezz’età con figlio diciottenne, aggirarsi, per dieci lunghi giorni, tra Roma e la Sardegna. Muovendosi ai fianchi della politica (e della “politica armata”), disinteressato a essa perché lontana e ostile, ma costretto ad attraversarla dalle circostanze e dal caso, il commissario conduce testardamente la sua indagine. Una indagine che è insieme ricerca di indizi e angosciosa autoanalisi, e che vede il poliziotto «lavorato ai fianchi», a sua volta, dal rimorso per la colpa commessa e da nemici misteriosi che lo aggrediscono alle spalle, e da una rete criminale che gli si stringe lentamente intorno. Il ritmo della narrazione è quello, incalzante, di chi racconta per capire da quale momento in poi le cose siano precipitate in modo irreversibile. Un giallo avvincente ma anche politico, una vicenda che incrocia episodi cruciali di quegli anni, come il “caso Moro”.