Scrivere un libro è anche una scommessa d'autore. Con Gli arcipelaghi - che seguono a un cinquantennio di intenso lavoro narrativo - Maria Giacobbe ha vinto quella di costruire una storia di bruciante novità ma con sorprendenti sentori d'antico. Un risultato che riflette una realtà sociale - quella narrata - al guado fra vecchi e nuovi codici culturali. Ma una scommessa richiede sempre una certa dose di coraggio. Ad essere coraggiosi, qui, sono la scrittura e la costruzione del romanzo. I personaggi raccontano e si raccontano, a volte con un velo di oralità, attraverso la partitura dei capitoli, in cui il narratore innesta i suoi corsivi improntati a un autentico lirismo. Ci parlano questi personaggi dal biancore delle pareti di un asettico ambulatorio medico, dal chiaroscuro della luce crepitante di un camino, dal buio di notti campestri, dal nero di una piovosa serata squarciato per un attimo dalla fiammata di uno sparo. E si fanno ascoltare gli attori della storia, e per la loro voce l'autrice ci dona ancora un altro raro ritratto morale di una società dove si perpetuano violenza e vendetta, dove l'adolescenza può infrangersi nel rispetto di principi atavici o cessare, tragicamente, di pulsare.