a cura di Ugo Collu
Prefazione di Maurizio Virdis
«Poeta della conoscenza metafisica potrebbe esser definito Vindice Satta, forse un poeta di quella linea montaliana propria di chi subisce gli scorni di chi crede/ che la realtà sia quella che si vede. Ma la poesia di Vindice Satta, più che un, montaliano, distante ragionare, è un’adesione coerente al dato sentimentale. Che non si fa mai però onda di piena. Non è, la sua, poesia dell’ineffabile, ma semmai poesia del limite. Un poetare cui è chiara l’insufficienza della parola: un pensiero nel varco dei momenti. Evidente è il debito che la scrittura poetica di Vindice Satta contrae con la poetica di Giuseppe Ungaretti: un procedere per frammenti; con versi brevi che spezzano la linea sintattica per scissione di dettatura interiore. Ma da Ungaretti Vindice pure diverge per concezione d’esistenza. Riguardo alla quale potremmo, forse, avvicinarlo a Montale. Perché Vindice è assai poeta del paradosso, del dubbio, e della perplessità più che della ungarettiana necessità di fede. Un poeta dalla forte soggettività fu Vindice Satta, ripiegato in sé, ma non arreso: e proprio perché, per parafrasare le sue stesse parole, egli ha avuto il coraggio di arrendersi.»
M. Virdis
«Certamente Vindice Satta interiorizza in modo esemplare la modernità più consapevole maturata con le tragiche esperienze del secolo scorso. Con un termine abusato si potrebbe definire un “postmoderno”, ma solo per indicare ciò da cui ci siamo dileguati. Non più la fiducia nella ragione, non l'abbandono alla religione. Una specie di pensiero debole (viviamo incompleti di vita e di morte) in cui ciò che conta è fuggire gli assoluti, accontentandosi dei nutrimenti terrestri, delle precarie consolazioni del quotidiano. La saggezza della navigazione a vista. Una saggezza che arditamente e senza ipocrisie non si stanca di squarciare i veli dell'apparenza per attingere oltre la superficie; anche a costo di smacchi e di sofferenza. Chi è allora Vindice Satta? Un uomo del limite; che non “tocca” il cielo, ma che sfugge l'abisso. Povero di verità e però colmo di poesia, di amore e di saggezza. Ciò che gli consente l'invocazione di una escatologia umile e laica: il sogno che “la porta d'oro” lo attenda. Socchiusa. E non per ‘entrarvi solo’.»
U. Collu