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Sapeva Enrico Costa (come un personaggio di Borges) che «la soluzione del mistero è sempre inferiore al mistero». Nell’indagare sul leggendario criminale detto «il muto di Gallura», fa sì luce sulla figura storica del bandito Sebastiano Tansu (uomo di media statura, biondo, sordomuto dalla nascita, intelligente e dalla vista acutissima) e sulla faida che verso la metà dell’Ottocento sconvolse tre famigliedel paese di Aggius, contando settanta morti ammazzati, ma in fondo s’impegna ad alimentare la leggenda-mistero. Il narratore s’insinua negli interstizi della storia e della leggenda, chiarisce fatti e psicologie, ma poi semina il dubbio, e nella instabilità dell’avventura investigativa coinvolge il lettore con un intreccio circolare da romanziere sagace. Vinta la scommessa paradossale di «far parlare un muto», resta quella landa di silenzi – e su tutti quello che avvolge la scomparsa nel nulla di Sebastiano – dove può spaziare la fantasia dell’autore, concedendo spazio a quella sacrosanta del lettore.
Enrico Costa (Sassari 1841-1909), impiegato presso diversi istituti bancari, poi all’Archivio del Comune di Sassari, affiancò agli impegni professionali una copiosa e varia produzione letteraria. Esordisce nella narrativa con il romanzo Paolina (1874), cui seguiranno: Il muto di Gallura (1885), La bella di Cabras (1887), Rosa Gambella (1897), Giovanni Tolu (1897). Come saggista compila la monumentale opera storica Sassari (in versione integrale uscita postuma, 1937). Fondò e diresse l’importante periodico «La Stella di Sardegna».
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