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«Il cordaio fu il primo ad attaccare le sue più belle corde, dal portone al palo che indicava il limite fra la sua aja e quella di Giovanni La Pioppa. Era la mattina del Corpusdomini. La processione, per eseguire la giravolta, doveva entrare nell’aja del cordaio, attraversare quella di Giovanni, uscire per il portone del zolfanellajo, la cui umile casetta era l’ultima del paese.
Le tre famiglie si tenevano molto onorate di questa preferenza, e ogni anno formavano, con lenzuola attaccate a due fila di corde, una specie di viottolo semicircolare che cominciava dal portone di Sison il cordaio e finiva nel portone del zolfanellajo.
Un palo di qua, uno di là, segnavano appena il limite delle tre aje unite: quella di Giovanni De Marchi, detto La Pioppa, era la più grande. Egli era un uomo ricco.»
Grazia Deledda (Nuoro 1871 - Roma 1936). Appena dotata di un’istruzione elementare, affronta determinata la strada della scrittura poetico-letteraria, intessendo da subito, dalla piccola e appartata Nuoro («sottomessa a un esilio dal mondo grande»), una fitta rete di rapporti negli ambienti culturali isolani e continentali. Esordisce giovanissima (1888) pubblicando racconti in rivista, e nel 1891 esce il suo primo romanzo “sardo” Fior di Sardegna. Da lì è un crescendo inarrestabile, con i primi gradini nella pubblicazione di Anime oneste (1895; prefazione di Ruggero Bonghi) e La via del male (1896) che riceve il plauso di Luigi Capuana. Seguono altri romanzi e racconti, sempre ideati e composti nel borgo natio, che ancora disegnano una progressione stilistica e concettuale della sua arte narrativa. Nel 1899 (anno in cui va in stampa La giustizia), durante un soggiorno a Cagliari, Grazia Deledda conosce Palmiro Madesani che sposa nel gennaio 1900 e con lui si trasferisce a Roma, dove metterà su famiglia e trascorrerà il resto della sua esistenza. Ora la costruzione di una gloriosa carriera letteraria riceve ulteriore impulso e la pubblicazione di romanzi e raccolte di novelle avverrà con ritmo serrato in poco più di un trentennio che abbraccia la produzione di oltre quaranta titoli (ricordiamo soltanto, fra i romanzi: Elias Portolu, Cenere, L’edera, Il nostro padrone, Colombi e sparvieri, Canne al vento, La madre, Il paese del vento, La chiesa della solitudine). Nel 1927 le viene conferito il Premio Nobel per l’anno 1926: Grazia Deledda è consacrata come una delle voci più alte della narrativa mondiale del Novecento. Non ha solo raggiunto il «mondo grande»: l’ha conquistato. Postuma (in rivista nel 1936 e in volume nel 1937) esce l’autobiografia romanzata Cosima, lasciata manoscritta.
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