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Il titolo del saggio s’ispira all’incipit della prima parte del rinomato lavoro biografico-etnografico dell’anglo-irlandese John Millington Synge, The Aran Islands (1907): «Sono nell’isola di Aranmor, seduto accanto a un fuoco di torba, e ascolto il mormorio in gaelico che sale da un piccolo pub sotto la mia stanza.» Come in altre descrizioni appropriate come questa, gli osservatori più acuti hanno colto la narrazione nelle sue fasi embrionali e poi nascenti, cui possono seguire i primi coaguli micronarrativi, sfocianti alle volte in racconti altamente strutturati, e attribuibili, ma non sempre, a un autore. Questo procedimento di crescente complessità è il caleidoscopico prodotto “immateriale”, tra i più sofisticati, dell’Homo narrans, il quale si manifesta sia come collettività sia come individuo, sfruttando una delle possibilità performanti già contenute nella grammatica del linguaggio umano: la narratività. Viene sviluppata e solidamente documentata questa linea di ragionamento il cui punto di arrivo è anzitutto il racconto breve e brevissimo (parabola, short story, flash fiction, miniconto ecc.). Varcando, però, l’osmotico confine tra i generi testuali (narrativi e non) imperniati sulla sequenzialità temporale, il saggio si propone anche di illustrare come qualsiasi discorso coerente (dalle logiche sottostanti diversificate) si venga costituendo alla confluenza di opinioni, di riformulazioni, di citazioni ecc., e in genere di interazioni linguistiche svolte in compresenza o a distanza. In questa prospettiva pure il prodotto finale di un lavoro di ricerca è l'amalgama di un discorso portante (autoriale, di solito) che si combina in maniera sistematica e che instaura – per mezzo della bibliografia – un dialogo progressivo e critico con le voci, alle volte lontane e persino distorte, di altri: studiosi, appassionati, letterati e artisti.
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