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«Maria Concezione uscì dal piccolo ospedale del suo paese il sette dicembre, vigilia del suo onomastico. Aveva subìta una grave operazione: le era stata asportata completamente la mammella sinistra, e, nel congedarla, il primario le aveva detto con olimpica e cristallina crudeltà: – Lei ha la fortuna di non essere più giovanissima: ha vent’otto anni mi pare: quindi il male tarderà a riprodursi: dieci, anche dodici anni. Ad ogni modo si abbia molto riguardo: non si strapazzi, non cerchi emozioni. Tranquillità, eh? E si lasci vedere, qualche volta. – Ella lo guardò, coi grandi occhi neri nel viso scarno e verdastro d’angelo decaduto: avrebbe voluto fargli le corna o qualche altro segno di scongiuro, ma in fondo non credeva a queste cose e da molto tempo era rassegnata al suo destino. Si contentò di proporsi di non tornare mai più all’ospedale.»
Grazia Deledda (Nuoro 1871 - Roma 1936). Appena dotata di un’istruzione elementare, affronta determinata la strada della scrittura poetico-letteraria, intessendo da subito, dalla piccola e appartata Nuoro («sottomessa a un esilio dal mondo grande»), una fitta rete di rapporti negli ambienti culturali isolani e continentali. Esordisce giovanissima (1888) pubblicando racconti in rivista, e nel 1891 esce il suo primo romanzo “sardo” Fior di Sardegna. Da lì è un crescendo inarrestabile, con i primi gradini nella pubblicazione di Anime oneste (1895; prefazione di Ruggero Bonghi) e La via del male (1896) che riceve il plauso di Luigi Capuana. Seguono altri romanzi e racconti, sempre ideati e composti nel borgo natio, che ancora disegnano una progressione stilistica e concettuale della sua arte narrativa. Nel 1899 (anno in cui va in stampa La giustizia), durante un soggiorno a Cagliari, Grazia Deledda conosce Palmiro Madesani che sposa nel gennaio 1900 e con lui si trasferisce a Roma, dove metterà su famiglia e trascorrerà il resto della sua esistenza. Ora la costruzione di una gloriosa carriera letteraria riceve ulteriore impulso e la pubblicazione di romanzi e raccolte di novelle avverrà con ritmo serrato in poco più di un trentennio che abbraccia la produzione di oltre quaranta titoli (ricordiamo soltanto, fra i romanzi: Elias Portolu, Cenere, L’edera, Il nostro padrone, Colombi e sparvieri, Canne al vento, La madre, Il paese del vento, La chiesa della solitudine). Nel 1927 le viene conferito il Premio Nobel per l’anno 1926: Grazia Deledda è consacrata come una delle voci più alte della narrativa mondiale del Novecento. Non ha solo raggiunto il «mondo grande»: l’ha conquistato. Postuma (in rivista nel 1936 e in volume nel 1937) esce l’autobiografia romanzata Cosima, lasciata manoscritta.