Quando la voce si sposta dai polmoni che la vibrano nelle strade per farsi carattere tipografico, possono accadere due cose: o in assenza del corpo che ne garantisce l’urgenza diventa proclama retorico, nenia insulsa (come accade spesso leggendo il testo di una canzone) oppure la pagina ne conserva miracolosamente il ritmo e l’urto, producendo esiti diversi da tutto ciò che si trova nelle collane di poesia. Questi ultimi casi sono rari, rarissimi in Italia, e se si è costretti a citare dei nomi si finisce per fare sempre quelli della Beat Generation.
Ora, invece, la casa editrice il Maestrale ci offre Alfabeto di strade (e altre vite) di un autore noto anche all’estero, tradotto in sei lingue, ma che finora per lo più evitava la via del libro, preferendo rimanere puro poeta orale e anima di iniziative al confine tra arte e politica come il Link Project. Alberto Masala, sardo di nascita e d’orgoglio, residente a Bologna, vero compatriota di tutti i popoli oppressi, riunisce qui alcune tappe della sua produzione di diverse epoche, toni e stili, senza omettere neppure un saggio dei canti a tenore in limba logudorese che compone per il gruppo Cuncordu Bolothanesu di Antonio Are. Questi ultimi particolarmente interessanti, perché testimoniano il modo tipico di Masala di far incontrare l’avanguardia con le radici più arcaiche.
Un momento fondamentale del libro è Taliban, poema composto mesi prima che l’11 settembre attirasse l’attenzione mondiale sull’Afganistan, che si struttura elencando trentadue divieti imposti alle donne, seguiti da versi che prestano voce ai sussurri e alle maledizioni delle sottomesse. Per portare solo un esempio, ecco il quindicesimo: «Tutti i toponimi con la parola donna siano cambiati / non ho bisogno di mangiare / solo di nominare / questo mio cieco nome / che indosso / come infamia di pietra / da trasportare intatta / e non perde memoria». Leggere questo libro è un’esperienza che esalta, che infonde amore per i grandi scrittori sperduti e maledetti di tutti i tempi (da Lucrezio a Leopardi, da Artaud a Patrizia Vicinelli) e volontà di resistere contro ogni forma di violenza e sopraffazione. Risveglia un frullo di libertà nello stomaco. Come Masala stesso ci dice: «ca libertade tenimus intragnada». La libertà, l’abbiamo nelle viscere.