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Novembre 29, 2008
Sergio Atzeni intimo Poesie e «muttettus» di un uomo inquieto

«Attorno ai quindici anni ho cominciato a viaggiare per l’Europa, una settimana qua, un mese là, in vacanza, sempre tornando a casa, all’isola che credevo (forse non a torto) necessaria alla mia sopravvivenza e sempre sognando un viaggio lungo d’anni e esperienze. Nel 1986 ho cominciato il viaggio e questo diario»: sono le parole con cui Sergio Atzeni introduce nel 1995 «Mi basta saper suonare a malapena una tarantella», la prima delle tre sezioni della raccolta di poesie «La gallina di Lovicu Lobina», poi edita postuma da Il Maestrale nel 1997 col titolo di «Due colori esistono al mondo, il verde è il secondo». C’è in queste righe più il disvelamento del sentimento profondo di un’esistenza, che una dichiarazione d’intenti artistici: del resto, scrive Atzeni, “Hanno già tutto cantato/ [...]Che mi resta?/Una vita, un tamburello”.
I vecchi componimenti, con l’aggiunta di alcuni inediti e di testi finora di difficile reperibilità, sono adesso riproposti in un nuovo volume (256 pagine, 15 euro) che la casa editrice nuorese ha deciso di chiamare «Versus»: e perché è questa la traduzione in campidanese dell’italiano “versi”, e perché è la sintesi perfetta dell’animo di un poeta-contro come fu, per temi e scelte stilistiche, Atzeni. Chi non ne conosceva ancora le poesie avrà quindi l’occasione di recuperare, per esempio scoprendo nella parte iniziale del libro una produzione che pur prendendo le mosse dall’ambiente natio («Il pub di Gesuino Muresu»), non può mai tacere un intimo sentimento di alterità misto a estraneità (“Stanotte [...] mi sono aperto il petto/e ho scoperto di avere un cuore africano”), e l’aspirazione a orizzonti diversi (“Sogno albe africane/lontane dalle voci del mondo”, e poi ancora il racconto di giornate spese a Milano, Torino, Zurigo). Altri temi atzeniani sono il frequente ricorso a figure d’animali antropomorfi per raccontare gli uomini, nella loro crudeltà (“Hai voglia, disse la farfalla al gatto,/di giocare al gomitolo con me?/Non parlò più./I gatti non fanno grandi discussioni”) o nella loro pochezza (la gallina che, timorata e sprezzante di ciò che non conosce, perde la vita per la troppa prudenza), e il dialogo costante con il mondo immanente e con quello della musica. «Versus» procede con «Due colori esistono al mondo, il verde è il secondo», viaggio compiuto attraverso gli occhi di Vincent Van Gogh, fatto di panorami e interni, e poi ancora di “arance, limoni, bottiglie, girasoli, strade, case”, tutti imbevuti di ogni possibile tonalità di giallo; spetta poi a «Filastrocca di quando buttavamo a mare i tram», “scritta in una notte di maggio 1976” e poi revisionata due volte prima di essere pubblicata, il compito di concludere la raccolta originaria.
Proprio partendo da qui si può iniziare a parlare del materiale inedito di «Versus», che nell’appendice ospita «Quel maggio 1906», il testo teatrale che, privato delle indicazioni sceniche, diverrà in seguito «Filastrocca». Il racconto dell’insurrezione popolare di Cagliari contro il caro viveri e la mancanza di beni di prima necessità, che costò la vita a due manifestanti e si estese poi al resto dell’isola, è reso ancora più vivido dalle note sulla scenografia, sulla musica e sugli attori (“La vecchia evoca immagini di Sardegna antichissima. I suoi tratti, i suoi abiti, sembrano venire dall’epoca giudicale”), nonché dai titoli dei quadri, più che eloquenti: «Lamento», «Sfruttati e sfruttatori», «Rivolta», «Fuoco», «Massacro». Come scrive con puntualità il curatore Giancarlo Porcu, «Quel maggio 1906» è un’importante testimonianza testuale delle tre anime dell’Atzeni di metà anni’70 (e non solo): militante comunista, cantore della storia del popolo sardo, appassionato di teatro. È poi la volta delle «Poesie escluse» dalla silloge «La gallina di Lovicu Lobina», in bilico tra divertita sciocchezza (“Domenica di luglio e ito so’ a Riccione/lardo dappertutto, romagniche culone/[...]Domenica a Riccione/chi me l’ha fatto fare?/Ha ragione da vendere, il santuomo,mio padre/sono proprio un coglione”) e dolorosa riflessione (“Dappertutto mi sento/straniero e solo/[...] straniero,/solo,/impotente,/inadatto alla vita”), ma capaci anche di riportare alla luce una passione nota ma ancora poco compresa e indagata dello scrittore, quella per i tarocchi, fondamentali ad esempio nell’architettura del romanzo «Passavamo sulla terra leggeri».
Infine, vi è quella che forse è la parte più interessante del materiale che «Versus» propone ex-novo o quasi, ovvero «ereas i storieddas i kantus de amorau i muttettus», che nel 1984 Atzeni batte da sé con la sua lexicon 80 “con la a storta”, e poi fotocopia “clandestinamente per farne dono agli amici”, perché “la poesia è azione clandestina, sabotaggio, sfida perdente all’ordine delle cose”. Si tratta di una raccolta di muttettus, “brevi componimenti carichi di nonsense” tipici del sud Sardegna e di Cagliari in particolare, riproposti nella loro forma originale, cui se ne accompagnano altri che risultano da un lavoro di patchwork e riscrittura che Atzeni compie sui quelli di Raffa Garzia.
L’imponente apparato critico di Porcu permette di districarsi con una certa facilità nella lettura e nella comprensione di questi piccoli scritti, “espressione più tipica della poesia sarda meridionale”.
«Versus» è, in conclusione, uno strumento sicuramente utile per conoscere meglio certi aspetti poco noti dell’opera di Sergio Atzeni, ma, ben prima di questo, è un libro bello e prezioso.


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