Villatiferno è un paese perso nel cuore dell'Appennino centrale. Non cercatelo sulle carte geografiche: non lo trovereste. In realtà questo borgo-che-non-c'è è il luogo dove Luca Ciarabelli ha ambientato il suo secondo e recente romanzo, Il paese dei Pescidoro, tanto bizzarro e incisivo quanto il libro d'esordio, Il bambino che fumava le prugne (2008).
Ciarabelli (classe 1971) si sicrive qui nella categoria, ormai in via di estinzione, degli umoristi surreali e stravaganti: a suo modo, sulla falsariga di Achille Campanile (è citato nel libro), di Savinio, del primo Malerba, e con un fondo più amaro. Ma la sua dissacrazione parte dalla stessa struttura del romanzo, che si agglutina nervosamente per sovrapposizioni successive di episodi favolosi o grotteschi ad accumulo – alcuni dei quali (come la storia della nobile famiglia dei Pescidoro, potenti signori rinascimentali del paese) in sé compiuti, altri ampiamente divaganti -, piuttosto che attraverso una struttura più lineare. In mezzo a una folla di figure e figurette inusuali. Ma non può essere che così, sia perché Villatiferno è un paese anomalo, dove il tempo è «in fricassea»; dove«il passato, il presente e il futuro erano tre orologi che segnavano la stessa ora», sia perché, da una fiaba allegorica qual'è, è legittimo aspettarsi la stravaganza dell'ordito. Che prende avvio dagli anni del fascismo, quando il ragazzo Cornelio, tornato a Villatiferno col padre, a suo tempo emigrato in Argentina, mal si adatta alla vitarella del paese e al grigiore degli abitanti.
Lui – eccezione per l'epoca – gira in blue-jeans e con sgargianti camicie floreali, e ha un enorme sole nero tatuato sul braccio sinistro. Fa strani sogni premonitori (una notte sogna nientemeno che la parola “piduista”), legge Freud senza capirci granché, ma lo legge. E però l'evento che gli cambia la vita è l'incontro con l'emozione del cinema: Via Col vento, visto nell'unico spettacolo della settimana, il mercoledì.
L'arte è liberatoria, stimola creatività de energie. Tant'è vero che Cornelio decide di trasferire il film a rappresentazione teatrale. Avvalendosi di un gruppo di scervellati e di buffi che non lo porterà da nessuna parte. Nè raggiunge miglior fine l'idea successiva, altrettanto strampalata per il paese: “una scoppiettante commedia”, Perversioni sessuali a Chicago, ispirata alla passione per la bella ragazza Placida Alighieri.
Per la mentalità del tempo, il ragazzo è un disadattato, un diverso. Ma è anche un anticonformista che osa pensare con la sua testa in un momento (è nato l'Impero) in cui è proibito pensare liberamente; uno che non si allinea. E un allegro mascalzone che (ahinoi) ruba a un ricco, il sindaco, corrotto, e a un gerarca: i quali entrambi, rubano. Facile incastrarlo. E rinchiuderlo nel palazzo dei nobili Pescidoro trasformato in manicomio. Lì vivrà la sua seconda vita attraversata da avventure, anche amorose (vedrà il lettore), tanto quanto da sevizie: sono gli anni dei primi elettroshock. Riuscirà ad evadere. E a tornare 3o anni dopo come vendicatore...
È soltanto una fiaba dolceamara? O parlando del passato, il bravo Ciarabelli ci sta anche dicendo molto del nostro ingrato presente?