Il ritorno di Efisio Marini, l’imbalsamatore-detective, è anzitutto il ritorno di un giallo filosofico con un’ampia tradizione letteraria alle spalle. Agli elementi classici dell’assassinio, degli indizi in scia, dei sospettati, si combina un’incessante analisi dei significati che orientano la violenza, il tentativo di dominarne le conseguenze e, di contro, la ricerca della verità senza intenti consolatori o edificanti. Anche nella fuga che dà il titolo al romanzo scopriamo un’ambivalenza con inseguitori reali e virtuali, e un senso di morte che agisce di continuo nei personaggi – a cominciare dallo stesso Marini, il protagonista, l’uomo famoso per la tecnica di «pietrificazione» dei cadaveri.
Tutta l’impalcatura dell’opera è un materialismo sensuale e nostalgico che detta frasi brevi e icasticità – quasi – da poema omerico. Una scrittura levigata, senza raccordi o eccipienti, che si concentra solo sugli episodi decisivi per la vicenda narrata.
Giorgio Todde racconta due viaggi in nave (da Napoli a Cagliari, andata e ritorno), e un paio di tragitti in groppa al mulo, ma sembra di assistere a un’odissea di pulsioni espresse e represse, con il richiamo della vita che è profumo sconfinante in cattivi odori (per Eros e Thanatos ci vuole naso: quello enorme dell’oracolo Diomede Setzu). Una donna è sempre lì, all’orizzonte, e il desiderio è tanto più intenso se intrecciato al disgusto (talvolta morale) e alla fatalità.
Efisio Marini gira intorno a un gruppo di sospettati ammalianti e un po’ loschi: si stagliano su un Ottocento sgravato di retorica o parodistico, spesso preceduti dall’ombra della malattia che li consumerà o da una fine aleggiante e abbastanza tragica. Si muovono tra l’Ospedale degli Incurabili e il molo igienizzato di Argante Solera, tra la villa-vittoriale dell’avvocato Ernani Massente e il Teatro civico in cui il pianista Sigismondo Thalberg suona quindici variazioni verso la Perfezione. C’è anche una scena – memorabile – all’Istituto per i sordomuti.
Efisio Marini è un pessimista, e capta i guasti organici da lontano (nel Tempo e nello Spazio). Tuttavia, il requiem di Giorgio Todde non rinuncia a tonalità comiche, come il riferimento alla Marcia delle Mummie composta da Armandino Pisciottu in onore dell’illustre imbalsamatore cagliaritano. Il lettore si diverte, e tanto, ma si accorge fin da subito che l’umorismo va di pari passo con un disincanto profondo, e che l’(anti)Eroe, il medico esiliato che ritorna e se ne va ancora, non ride mai: Marini sopravvive per inerzia tra la moglie Carmina, che deperisce faccia al muro, e gli sventagliamenti di mantello di Alcina, la sirena che lo irretisce. Ama per necessità e dimentica per salvarsi; o quanto meno, nonostante tutto, per provarci.
| Giulio Neri