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Giugno 7, 2008
Carmen, il sogno e la superstizione

Negli ultimi dieci anni il fiume della letteratura sarda è diventato più rigoglioso grazie a tanti nuovi e inaspettati affluenti. Affluenti preziosi, che, con le loro opere, hanno creato - ognuno a modo suo - una indubitabile rinascita intellettuale che ha permesso alla nostra letteratura di assumere nuovamente (come nel passato) un respiro internazionale e di diventare merce preziosa per gli editori di tutto il mondo. Ce n'è per tutti i gusti: con una particolare passione per il Giallo e per il Noir. L'ambientazione prediletta, è quella della nostra terra: ma non solo. I tanti scrittori nati durante questo nuovo fiorire (conosciuto con il nome altisonante di Nouvelle Vague Sarda) fanno a gara fra loro per presentarsi sul palcoscenico nazionale mostrandosi variegati e sciorinando personalità, fra loro, diversissime. Si spazia dalla semplicità disarmante all'arroganza più spocchiosa, dalla furbizia sopraffina, alla modestia più autentica. Li abbiamo chiamati indiscriminatamente con lo stesso nome: affluenti. In realtà sono fiumi di svariata portata e dimensione. Alcuni sono corsi d'acqua importanti, robusti: altri, invece, sono soltanto piccoli torrenti stagionali, che, con la calura dell'estate, probabilmente andranno in secca e scompariranno, rivelando l'ombra del loro letto, spoglio e poco profondo.

In una scena molto significativa del recente film di Robert Redford Lions for lambs l'attenzione di uno studente universitario viene calamitata con urgenza da un'edizione straordinaria del telegiornale: contrariamente alle sue paure, non si tratta di un grave lutto nazionale, né di un'improvvisa catastrofe: bensì ad essere annunciato con tanto clamore e prorompenza È il divorzio di una pop star. Le immagini continuano a scorrere, mostrando quanto di piÙ sciocco e superficiale esista al mondo: l'assurda notorietà di mediocri sconosciuti, scelti da esperti della comunicazione per occupare un trono provvisorio ed essere poi deposti: uno dopo l'altro, in una successione ormai sempre più furba, sempre più rapida, e sempre più vuota di incanto e di speranza.

Ecco, troppo spesso chi si occupa di informazione fa l'errore di fomentare questo genere di effimere notorietà, dando per scontato il valore imposto dei nuovi eletti, senza prendersi la briga di valutarlo, e di verificarlo. Insomma, va dietro alle glorie del momento e tralascia il suo compito fondamentale: scoprire quelle che valgono davvero.

Noi, oggi, quest'errore non lo faremo e, a rischio di apparire un po' contro corrente, anziché continuare a dare spazio ai soliti prezzemolini imbucati dappertutto, anziché continuare a osannare chi già ha avuto fin troppo spazio sulla stampa, parleremo del nuovo validissimo romanzo dello scrittore sassarese Alberto Capitta: uno apparentemente, mai in televisione, mai in radio, mai alle feste di quelli che contano, mai ai grossi premi (se non una volta soltanto quando venne presentato allo Strega, sena riuscire ad accedere alla cinquina dei finalisti). Un artista lontano dal clamore, un uomo semplice, innamorato della sua famiglia, della sua casetta in campagna e dei laboratori di recitazione che organizza per le scuole. Uno ai margini di tutti i possibili giochi di potere, degli intrugli magici, degli scambi di favori. Un “per conto suo”: ma bravo. Anzi bravissimo. Lo conferma questo suo nuovo romanzo intitolato Il giardino non esiste e appena pubblicato dal Maestrale.

Per non tradire il proprio stile, lontano da ogni possibile moda: e, anzi, desideroso di antiche armonie, Capitta crea nuovamente una storia minima senza colpi di scena, senza omicidi e, per giunta, senza volgarità. Lo fa per obbedire a una ispirazione autentica, originale, vera, e mai dettata da scaltri calcoli di mercato, desiderosi di assecondare il gusto di un pubblico ormai sempre più sciatto e incapace di riconoscere la vera bellezza. Un artista come ai vecchi tempi, si potrebbe dire di lui. E quale altra definizione meriterebbe uno scrittore ancora capace di porre in un equilibrio sottile sogno e realtà? Nel suo mondo le banconote da diecimila lire sono belle come foglie di castagno in pieno autunno, i piccoli odorano di favole, i bagnasciuga vengono disegnati dal passaggio dei paguri, mentre gli androni delle stazioni appaiono come ventri umidi e inospitali. I frullatori pigolano, le parole sanno essere primaverili, i suoni azzurri, e l'infanzia si stacca dai bambini come una buccia secca. In tanta poetica evocazione, ogni oggetto viene presentato con il suo vero nome. Capitta è un acrobata della lingua italiana: la maneggia alla perfezione e se ne serve per mettere in scena ardimentosi giochi di prestigio. Lo fa a suo rischio, fino al limite del compiacimento narcisista, fino a rasentare l'eccesso di attenzione e di bravura. Tra le sue pagine incantate, dunque, ecco apparire nappine, roverelle, cilici, piattine, lappamenti, spanzamenti, braccia che mulinano, carnieri, caffè caricolito, velette e scracchiamenti.

Le parole evocano: producono suoni, profumi, batticuore. E mentre noi seguiamo con apprensione la vicenda della piccola Carmen (una bambina malata di epilessia in una città ignorante e superstiziosa) ci dimentichiamo di noi: incontriamo salotti proibiti in cui spicca l'odore dell'antitarlo dato al pavimento e al pianoforte, grotte simili a rifugi antiaerei, in cui il caffè crudo viene conservato insieme alle altre provviste. Vediamo cubetti gelatinosi di marmellata con il francobollo in omaggio, torroni sorridenti, prosciutti danzanti, immaginette bruciacchiate, vasi di amarene, vite che si sfarinano, odore di animali bolliti,: e, ancora, divani disabitati, sconcezze urlate alle mutande stese, specchi avvizziti: treni appisolati, labbra accartocciate e uomini senza più sogni.

La vicenda continua a scorrere, con naturalezza, non stante la finzione che contiene: ci appare reale, necessaria e coinvolge la nostra attenzione. Cominciamo a preoccuparci per la piccola Carmen, a gioire con lei del suo piccolo mondo segreto creato per contrastare la durezza e la severità di un amore materno rattoppato e reso inutile dalla paura della diversità, dal pregiudizio e dall'ignoranza borghese. Fino a quando, troppo presto, sfogliata l'ultima pagina del libro, in noi rimane un senso di bellezza: un incantesimo misterioso che ci porta a chiamare gli amici più cari, per condividere le emozioni di una lettura diversa, che difficilmente verrà dimenticata.


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