Rodolfo Saporito, detto Rudy, lavora nella cronaca nera di un quotidiano sardo; ogni tanto imbrocca uno scoop, per caso o per vie traverse, seguendo un istinto da sciacallo che lo fa sempre galleggiare. Non gli dispiace sballarsi spesso con alcool e droghe varie, non disdegna le "cattive compagnie", e si altalena tra le donne e le ragazzine che passano per la sua strada.
Un personaggio a prima vista, e lettura, odioso, cattivo, che non nasconde la sua natura a chi lo ascolta raccontare un anno della sua vita nelle pagine di "Un cattivo cronista". Il titolo non rende onore alle qualità del reporter, che utilizza i peggiori ferri del mestiere ma fa saltare sempre fuori la notizia esclusiva (e che inoltre dà prova di buon scrittore all'interno del romanzo, in due racconti nel racconto); più che un cattivo cronista, Rudy è semplicemente cattivo, ma che in fondo sa farsi voler bene.
Perché nella ricerca di quel qualcosa in più, nelle sbandate delle anfetamine e della cocaina, nel ritmo sballato delle discoteche, Rudy è solo uno che vuole galleggiare, un finto protagonista, un attore virtuale tra squali e finzione. Quello che l'autore crea è un sottomondo, non sotterraneo, ma nascosto agli occhi dei più; Abate svela tutte le ipocrisie e sbatte la materia sulla pagina, con violenza e carnalità.
E scrive con questa fisicità, abbandonandosi spesso a neologismi e tocchi di sardo; una penna moderna e allucinata, un vocabolario completo che sa essere stringato come un sms, sono le armi che permettono, assieme alla leggerezza della trama, di bersi in un goccio le duecento e passa pagine. Alla fine delle quali scoppia il paradosso: la redenzione pubblica di una canaglia che vuole essere furba tra furbi, ma che agita nel lettore solo una leggera compassione.