In un paese dove gli abitanti sin dal Medioevo sono dominati da una famiglia nobile, schiacciati da un “regime” che allude al ventennio (ci sono balilla e adunate), Cornelio Persico è l’unico che infrange il conformismo: indossa una camicia colorata e vuol fare uno spettacolo ispirato a Via col vento, giudicato naturalmente sconsiderato dalla pubblica opinione. Luca Ciarabelli, alla seconda prova narrativa dopo il giallo sui generis Il bambino che fumava le prugne, punta sull’allegoria. L’anticonformista Persico finisce presto sbattuto nel manicomio della città e si ritrova con pazzi e vecchi malati di solo abbandono. E l’esperienza personale dell’autore, che ha lavorato diversi anni in centri per anziani, si fonde con la favola (l’allusione è al Barone rampante di Calvino) nella critica a una società che condanna tutto quello che non è produttivo. Così la storia si rovescia in un inno all’”inutile”: a partire dall’arte, che non produce denaro ma vale di per sé, per la sua funzione liberatoria, catartica. Mentre le “persone inutili”, pazzi o anziani con l’Alzheimer, vengono innalzati a prototipo dei veri artisti, angeli colorati che dipingono e sono attori del nostro tempo.