La provincia italiana, con le sue contraddizioni e le sue idiosincrasie, è uno dei temi più sviluppati dalla nostra narrativa negli ultimi anni. Una provincia spesso arretrata e anacronistica, allegoria dell’intera società del «belpaese», di una società chiusa e refrattaria, in fondo emarginata dal resto d’Europa.
Luca Ciarabelli, al suo secondo romanzo con Maestrale, non è da meno. La sua Villatiferno, minuscolo paese sperduto tra gli Appennini, è un prototipo di marginalità e conformismo, stagnazione culturale e ossequio al potere costituito. La vita dei bigotti del paese, descritta con un’ironia tagliente e irriverente, si svolge tutta tra il bar di Paolo di Pietralunga e la parrocchia, tra partite a biliardo e rappresentazioni liturgiche. L’unica eccezione al grigiore e alla noia della quotidianità è rappresentata dal protagonista, Cornelio Persico, nato in Argentina da un emigrato italiano e poi ripiovuto in patria.
Vestito di camicie floreali, appassionato di erboristeria e teatro, Cornelio non ha nulla a che fare con il resto dei paesani: concupisce una giovane parrocchiana e fonda un’improbabile compagnia di attori dilettanti, col proposito di trasporre sul palcoscenico il celebre Via col vento.
Sembra un progetto innocuo, ma per i potenti di Villatiferno si tratta di un pericoloso tentativo eversivo, da far naufragare ad ogni costo. Con un referendum popolare improvvisato l’intera cittadinanza delibera di disfarsi di Cornelio, e di rinchiuderlo nel manicomio di paese, antica residenza della famiglia Pescidoro. L’avventura del protagonista nel cosiddetto «albergo», tra le stranezze e le genialità degli internati, si dipana tra tentativi di fuga e amoreggiamenti, episodi pirandelliani e pseudoscienze per mattoidi, lasciando il lettore divertito e soprattutto sorpreso.
L’impressione che il libro restituisce, in effetti, è proprio quella della sorpresa e dello straniamento. Le vicende improbabili e i personaggi inverosimili, accoppiati ad un linguaggio sempre studiatissimo ma in certo senso quasi trasognato, fanno sì che ci si perda nella storia e nel ritmo della narrazione; poi però, una volta posato il libro si ha l’impressione di essersi appena svegliati, e di aver fatto uno strano sogno.
È questo, in effetti, il punto di forza di Ciarabelli: creare vicende troppo oniriche per sembrare vere e allo stesso tempo troppo realistiche per sembrare visionarie, raccontarle con un linguaggio ammaliante e godibilissimo, semplice ma ricercato. Si tratta di un equilibrio instabile, sia sul piano stilistico che su quello del contenuto, ma l’autore riesce a mantenerlo per gran parte del libro.
Così, sospesa tra passato e presente, Villatiferno non sembra troppo lontana da noi, e il tema del totalitarismo, sviluppato ambientando la vicenda in una Patria-Impero reazionaria e fascista, fa molto riflettere sulla realtà contemporanea.