Uno dei personaggi de «La stirpe dei re perduti», il romanzo d’esordio di Paola Alcioni pubblicato di recente da Il Maestrale (e vincitore del Premio letterario internazionale Junturas ideato dallo scrittore Salvatore Niffoi), esprime il suo disappunto di fronte alla complessità della vicenda nella quale è coinvolto: «Non sono un appassionato di trame complicate». Proprio la «trama complicata», invece, è uno degli elementi più intriganti del romanzo. Il lettore viene informato immediatamente della complessa intersezione di luoghi, tempi, personaggi che lo compongono. A Gurtei (Sardegna), nel 1867, Aleni Ballester, che si rivelerà uno dei personaggi chiave, in una notte di tempesta viene svegliata da una cantilena lontana che parla di tre segreti maledetti. Quattrocento anni prima, nella fortezza di Xátiva (Spagna) il fraticello Inocencio, dopo avere tracciato su una pergamena un misterioso disegno, si abbandona ad un sogno inquietante. Ancora nel 1867 il giovane medico Marco Raschini parte da Cagliari per Gurtei per curare corpi ed esplorare gli sconvolgenti abissi delle anime. Sempre a Cagliari, nel 1944, Laura Balistreri, appena scesa dal treno, sfugge ad un controllo delle SS. Sono i percorsi di una storia unica che si inabissa in tempi ancora più lontani, quell’epoca medievale che ha visto fiorire la «stirpe dei re perduti», nelle cui vene scorre il sangue sacro di re David mescolato a quello di nobili sovrani d’Europa. I re perduti fanno naufragio nella clandestinità , non solo per le vicende storiche, ma anche in seguito ad un misterioso e ignominioso misfatto che ne ha intaccato l’invulnerabilità . La loro stirpe riemerge (ma ancora nessuno lo sa) nel 1418, quando i due fratelli Joan e Beatriu Baher, espulsi dalla Spagna, vengono a Gurtei dove cambiano il proprio cognome in quello di Bayre e danno vita alla tragica e orribile vicenda che arriva ai giorni nostri. Nel corso dei secoli questa vicenda attraversa i vastissimi territori di una storia che coinvolge la Sardegna: dall’epoca catalano-aragonese a quella spagnola, ai giudici di Arborea, tocca fenomeni quali l’antisemitismo e il nazismo. E’ sempre presente (realtà o allucinazione) una misteriosa figura femminile alla quale il destino ha affidato il compito di seminare la follia nei cuori degli uomini, ma anche di dare una «orrenda e pietosa» morte a coloro che soffrono: «S’acabadora». Questa storia complicata viene raccontata attraverso l’intreccio di due piani narrativi: la presa diretta e la ricostruzione storica. Una lucida geometria compositiva che non brucia, ma esalta l’altro elemento intrigante del romanzo: una potenza visionaria che dilata e restringe lo spazio, torce il tempo in spirali che fondono passato, presente e futuro, colloca fatti e personaggi al confine fra realtà e sogno. Quale la chiave di lettura del libro? Si trova nella soluzione di un mistero orribile legato ad eventi rimasti a lungo segreti, una tara innominabile che contamina i componenti della famiglia Bayre e della famiglia Ballester, che con essa si è imparentata. Li costringe ad atroci trasgressioni che li trasformano in vittime e carnefici, disseccando le sorgenti stesse dell’umanità (è il «sentimento straziante» di una «sconvolgente alterità », che li rende alieni a se stessi, incapaci di amare se non di un amore tragico). Il mistero trapela attraverso allusioni e simboli: in particolare l’albero capovolto dalle radici scoperte che campeggia nello stemma dei Bayre-Ballester. Cosa vuol dire se non che, quando le radici che di norma penetrano nel mondo sotterraneo vengono messe alla luce, le ombre e i sogni prendono il sopravvento sulla realtà ? Ma la figura dell’albero rovesciato dalle radici scoperte non è forse assai simile alla menorah, il candelabro dai sette bracci simbolo dell’ebraismo? Le tracce del mistero vengono inseguite dalla Spagna alla Sardegna, si infittiscono in quello straordinario labirinto che è la «casaforte» dei Bayre-Ballester, nella quale persino le pietre sembrano permeate dal ricordo dei fatti terribili che si sono svolti fra le sue mura. Intorno è il paese di Gurtei: secondo una leggenda anticamente un’isola che una bufera terribile strappò dalle radici marine e lanciò contro la terra ferma, mandandola ad incastrarsi nella foce di un fiume. Appena lambita dalla grande storia, Gurtei è divenuta la culla malefica de «is strangius» venuti dalla Spagna. E’ un luogo afflitto perennemente dalle febbri malariche, responsabili di quell’atmosfera trasognata e visionaria che spinge gli abitanti a cancellare il confine fra realtà , fantasia e sogno, e a credere che ciò che non esiste ma potrebbe accadere sia più vero di ciò che esiste. Il lettore viene indotto ad amare personaggi che pure sconvolgono il comune sentire. Aleni Ballester miracolosamente sopravissuta, con la sua forza incantata e ribelle, alla perdita di tanta parte di sé: la morte dei figli, tutti tranne l’amara Violante e la dura Beatriz, il debole Juan ed il crudele Raimundo. Nassia «sa levadora», rispettata dalla comunità perché partecipe del segreto della vita e, quindi, più vicina a Dio. Juanna che ha i movimenti rapidi di un muflone spaventato, Miguela che riempie di sogni il silenzio che la circonda. La possibilità salvifica di una fuga è concessa a pochi, a coloro che sanno essere più forti dei sogni malefici: Aleni, Marco e Beatriz che riescono ad innamorarsi. A un certo punto della storia Gurtei ritorna al mare dal quale un tempo si è staccata. Ma è veramente esistita? Secondo l’opinione di alcuni, sì. Forse era uno dei villaggi distrutti dalla carestia e dalle epidemie. «Io penso invece che un posto del genere non sia esistito altro che dentro ognuno di noi: luogo dell’anima dove il sonno può mutarsi in sogno, ed il silenzio in ira». Sono le parole finali che danno a questo romanzo, che si colloca fra storia, leggenda e fiction, un altro senso possibile.