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Settembre 3, 2010
Intervista a Franco Stelzer - di Davide Musso

da Le parole necessarie (2010)

Poetica matrimoniale


Matematici nel sole
- l'ultima fatica di Franco Stelzer che per un pelo non è diventato "Libro dell'anno" di Fahrenheit su Radio3 - è un romanzo poetico e delicato sul matrimonio. D'accordo, lo spunto che muove la storia è la scoperta da parte di Hus, il protagonista, di avere un male incurabile: da lì la decisione di pianificare la cerimonia funebre e il "dopo", dalla suddivisione del patrimonio tra i figli alla ricerca del nuovo partner per la moglie. Ma la morte resta sullo sfondo, mentre le pagine raccontano la storia d'amore (luminosa, anche se non priva di momenti bui) di una coppia lungo il corso di una vita. Tra l'altro, con questo libro Stelzer è passato da Einaudi (con cui ha pubblicato i due titoli precedenti) alle Edizioni Il Maestrale. Ecco perché.

In un'occasione pubblica ho sentito presentare il suo libro come un libro sulla malattia, mentre lei ha precisato che si tratta piuttosto di un libro sul matrimonio, e in effetti il senso di morte nel libro non c'è, e la malattia di Hus resta per gran parte del tempo sullo sfondo. Come mai quindi ha scelto questo spunto narrativo (il male incurabile del protagonista) per scrivere un romanzo su una storia di coppia?
Ho effettivamente cominciato a scrivere il libro pensando a cercare di rendere sulla pagina quel laborioso, tenace, intelligente lavorio di mediazione, comprensione, critica, auto-critica, ridefinizione ecc... in cui consiste la vita di una coppia. Mi affascina questo modo caracollante eppure efficace di procedere che è insito nella convivenza. Quel lavoro di continuo aggiustamento che, nelle coppie che funzionano, agisce in un certo senso su di una misura di tempo infinito, ha in sé l'elemento chiave dell'infinita perfettibilità, a tutti i livelli. Poi mi è venuto in mente di introdurre la malattia e la possibile morte - per vedere se il sistema continuava a funzionare. Nel caso dei due protagonisti, mi sembra che l'inevitabile accelerazione indotta dall'idea stessa di una possibile fine imminente non abbia comunque scardinato il meccanismo dell'approssimazione positiva. Tra l'altro, quest'ultimo aspetto - un'approssimazione che non si considera un semplice male minore, ma un continuo processo di levigazione dell'essere - ha qualcosa di molto letterario...

Il matrimonio che lei racconta è a suo modo saldo, nonostante abbia conosciuto tempi bui. Com'è possibile condividere una vita intera con la stessa persona, a suo avviso?
Non so se sia possibile che questo avvenga in modo veramente soddisfacente - comunque sicuramente non sempre. Certo, una via è proprio quella di una sorta di nobilitazione della normalità. I due protagonisti si salvano continuamente ritualizzando con delicatezza e rispetto il loro quotidiano. La vera morte - sembrano a volte poter dire - non è quella fisica, che inevitabilmente ci travolgerà, ma lo scordarsi della sacralità pura e luminosa dei riti quotidiani, la perdita del senso delle cose più semplici.

Hus è un pianificatore, vuole sempre avere la situazione sotto controllo: non si preoccupa solo di quanto riguarda direttamente la propria morte (la cerimonia d'addio, la suddivisione dei beni), ma anche del "dopo" delle persone che ama e in particolare della moglie, per la quale vorrebbe trovare fin da subito un partner sostitutivo. Perché?
Hus vuole, mi pare, soprattutto esorcizzare. Ma poi, sembra scoprire nella definizione minuziosa (addirittura numerica!) dei particolari anche più intimi del dopo, una sorta di estetica bizzarra e paradossale. Anche questa assume i tratti del rito, anche se proiettato su un tempo che non esiste ancora.

A questo punto devo chiederle di spiegarmi i nomi, piuttosto insoliti, dei due personaggi principali Hus e Wif, marito e moglie, e dei loro figli, Soh e Toch.
Quelle specie di sigle sono una sorta di nomi/non nomi. Provo sempre un certo fastidio nel dare ai personaggi una veste anagrafica troppo precisa e concreta. E allora mi sono scelto nomi tronchi e per di più derivanti da codici linguistici diversi dal mio (Hus sta per Husband, Wif per Wife; Soh per Sohn, figlio in tedesco, Toch per Tochter, figlia, e così via). Così troncati assumono una sonorità quasi astratta. Potrebbero sembrare in un certo senso nomi di animaletti, o di gnomi, comunque dotati di un che di piccola universalità. So che a qualcuno la cosa ha dato fastidio. Peccato.

Ad un certo punto del libro scrive che "le storie cacciano il male" e il romanzo è innervato di altri racconti oltre a quello principale. Perché questa necessità dell'uomo di raccontare e raccontarsi?
Il fatto che il racconto principale sia continuamente interrotto da storie parallele ha a che vedere con il mio rapporto con la frammentarietà, nei confronti della quale provo un'attrazione irresistibile. Non so reggere alla tentazione di spezzare, frantumare, creare continuamente nuove aperture. Di fatto poi mi accorgo che, senza che ci abbia pensato più di tanto, le storie secondarie hanno molto più a che vedere con quella principale, di quanto io stesso non avessi pensato, spesso in un modo oscuro, ma che può illuminare. Mi pare accada la stessa cosa anche nella normale vita di noi tutti. Siamo continuamente attraversati da un fascio inesauribile di sensazioni, pensieri ecc..., che continuano a entrare in rapporto. Quando riusciamo ad isolare uno degli elementi di questo fascio e lo trasformiamo in storia, la nostra normalità si illumina e guadagna un senso complessivo che prima forse ci era sfuggito. E in un certo senso diveniamo spettatori della nostra stessa vita.

Visto che comunque la fine è uno dei temi del libro, mi piacerebbe chiederle qual è il suo rapporto con la morte.
Buono direi, abbastanza simile a quello di Hus. Ma attenzione, lo dico da sano...

Matematici nel sole è il suo terzo libro pubblicato in nove anni: che tipo di scrittore è Franco Stelzer? Come e da quale esigenza nascono le sue storie? Quando e dove scrive, e con che metodo?
La mia scrittura nasce quasi esclusivamente da un'urgenza di natura autobiografica. Sento il bisogno di raccontare - trasfigurandolo - quello che mi succede. Anche per questo sono uno scrittore estremamente irregolare. Scrivo poco, in luoghi anche diversi - anche se per lo più a casa. E al computer. In genere non faccio scalette o roba simile - lavoro soprattutto su frasi e suoni - a meno che l'urgenza di una consegna non mi costringa a stringere i tempi.

Negli ultimi anni sono diversi gli autori che hanno cambiato editore, passando da una sigla più grande a una più piccola. Questo romanzo ha segnato il suo passaggio da Einaudi e Il Maestrale: com'è accaduto? E quale bilancio può trarne?
Sono passato al Maestrale (su preziosa indicazione della mia traduttrice francese) perché Einaudi mi stava facendo aspettare troppo. Avevo una promessa di pubblicazione che mi assicurava l'uscita del libro minimo un anno e mezzo dopo il momento in cui è effettivamente stato pubblicato. Non avevo più la forza di aspettare. Volevo assolutamente liberarmene. Il bilancio è estremamente positivo per quando riguarda editing, rapporto con la casa editrice ecc... Molto meno per quanto riguarda il "peso" dell'ufficio stampa e la presenza del libro sugli scaffali. La forza della grande casa editrice si fa, in questo caso, sentire moltissimo.

Infine: sta lavorando a qualcosa di nuovo?
Sì, ma in modo frammentario. Troppi impegni di altro genere. Troppi pensieri. Aspetto un momento più calmo.


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