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Aprile 19, 2011
Le poesie dalle tante patrie nei fogli «nomadi» di Abate

Impresse sul retro dei biglietti dei treni, o su fogli nomadi dove l’inchiostro si è posato nel corso di oltre trent’anni di vita e dell’abitare luoghi diversi lungo l’asse Nord-Sud dell’Europa: poesie dove in calce sono fissate, al fianco di una data che varia dalla fine degli anni Settanta al  culmine dei Novanta, le loro patrie ispiratrici dalle sonorità così diverse quali Frankfurt, Hamburg, Bielefeld, Augsburg,  Marburg, Köln, Stoccolma, Milano, Cles, Carfizzi, Roma, Ponte in Valtellina, Besenello, Vienna, Punta Alice. Sono Terre di  andata questi luoghi, come riporta il titolo del nuovo libro di Carmine Abate, da domani nelle librerie, edito da «Il Maestrale» di Nuoro, che si compone di una raccolta di poesie e «proesie», come le definisce l’autore, ovvero «poesie in forma di prosa e prose con il ritmo, l’atmosfera, le metafore delle poesie; del resto sono un narratore e mi piace  raccontare storie anche quando scrivo poesie». Terre di andata «copre tutto il mio periodo di viaggi, speranze, soste,  ritorni e soste di nuovo — racconta Abate —. Si tratta di un’altalena tra i luoghi, sempre alla ricerca di un posto dove  vivere, di "terre di andata", appunto, rigorosamente al plurale, in quanto sono un uomo che ha scelto di "vivere per   addizione" (come recita il titolo del suo ultimo romanzo Vivere per addizione e altri viaggi edito da Mondadori nel 2010,  ndr). Queste "proesie" sono autobiografiche, ma serbano la speranza che possano parlare a tutti, in quanto i temi della  partenza, del ritorno, della provvisorietà e del radicamento riguardano ogni essere umano».

La vita e l’opera dello scrittore nato a Carfizzi, una comunità arbëreshë (italo-albanese) della Calabria, emigrato da  giovane in Germania e oggi residente a Besenello, ci rimandano alla drammatica attualità e ci sospendono un istante  dentro un interrogativo che ha a che fare con l’imprescindibilità dello status umano di migrante. «Mi meraviglia che ancora gli Stati e i governi, soprattutto di destra, non capiscano che questo è un fenomeno che non si può arrestare e non si arresterà mai — dichiara lo scrittore —. Da una parte ci dichiariamo cristiani, dall’altra non accogliamo l’altro. Siamo stati e siamo tuttora un popolo di migranti, basti guardare alla Germania, dove vivono seicentomila italiani. Dovremmo essere in  grado di comprendere perfettamente la condizione di migrante e cosa spinge una persona a partire. Invece abbiamo paura dei migranti, perché ci ricordano troppo chi eravamo e noi vorremmo dimenticarlo».

Terre di andata è suddiviso in quattro parti, definite per le loro caratteristiche prevalentemente esistenziali e   cronologiche. «Il primo nucleo, dal titolo Dimore tra me — spiega —, risale alla fine degli anni Settanta. In quel periodo vivevo in Germania e facevo parte della PoLiKunst, un’associazione polinazionale che col tempo avrebbe raggruppato scrittori e artisti stranieri residenti in Germania di ben diciassette nazionalità. Ciò che ci accomunava era la voglia di uscire dai ghetti culturali, cercare nuove strade, aprirci. Da qui l’esigenza di usare il tedesco come lingua veicolare, per capirci tra noi e cominciare a dialogare con i tedeschi, con l’obiettivo di superare i pregiudizi reciproci e gettare le basi di una letteratura multiculturale o addirittura interculturale. Insomma, lo stesso percorso che hanno seguito tanti scrittori immigrati in Europa (a volte con notevoli esiti letterari) e che diventa sempre più visibile anche in Italia. È in tale contesto multiculturale, in questo incontro e a volte scontro tra le culture, che sono nati, oltre ai testi poetici, sia il mio primo libro di racconti in tedesco, Den Koffer und weg! (Il muro dei muri, Mondadori, ndr), sia una parte dell’ultimo, Vivere per  addizione e altri viaggi. Da allora ho alternato la scrittura poetica e quella narrativa in un percorso di tensione che  ubbidiva e ubbidisce solo all'urgenza e alla necessità dei singoli testi. Lo sconfinamento da un tipo di scrittura all’altra è  evidente in particolare nelle mie "proesie", amalgama di prosa e poesia, ovvero prose con il ritmo, la musicalità e le forme stilistiche delle poesie, e poesie in forma di prosa o poesie antiliriche». La seconda sezione del libro, intitolata “Dimore di me”, è dedicata alle poesie scritte nel triennio 1977-1979: «Si tratta di testi che danno conto dei primi viaggi di andata al  Nord e della consapevolezza che costringere una persona a emigrare è un’ingiustizia da combattere con ogni mezzo. Io lo facevo con una scrittura che consideravo di impegno civile, denunciando il razzismo in tutte le sue sfumature e  illudendomi di dare voce ai tanti emigrati come mio padre, i miei amici e i compaesani, o addirittura di incidere a livello sociale». Si parlava sopra di poesie scritte sui biglietti ferroviari: la terza parte di Terre di andata, Di more, raggruppa proprio «le poesie scritte dal 1986 al 1995 sui biglietti ferroviari durante i continui viaggi da Colonia a Besenello e ritorno,

per ammazzare il tempo e le nostalgie, mescolando con gusto e ironia le mie anime e le mie lingue, arbëresh, italiano,  tedesco- germanese».

«L’ultima sezione “Dimore di noi” —conclude Abate — è dedicata a una donna luminosa, l’unico punto fisso in questa  altalena incessante tra Sud e Nord. È un dialogo a volte a distanza, a volte ravvicinato come un bacio o una carezza che trasforma l’io poetico in un noi amoroso e accogliente».


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