Qual è l’aneddoto più curioso legato alla nascita della vostra casa editrice?
Forse è in sé curiosa la nascita della casa editrice, non perché nel 1992 partorita da una libreria, la Novecento di Nuoro (fatto non insolito nella storia dell’editoria), ma perché operante, nei primi dieci anni di vita fra gli scaffali della libreria stessa, con le bozze di stampa e i manoscritti da valutare impilati sotto il registratore di cassa, o mescolati alle novità in arrivo. L’editing a Sempre caro di Marcello Fois uscito nel 1998 (e pochi anni dopo già tradotto in oltre 10 lingue) si è svolto in queste condizioni: una lettura frontale a voce alta, autore ed editor, nel tavolino sul soppalco della vecchia sede della libreria. E, non per retorica da miserabilismo eroico, si può aggiungere che la prima vera sede operativa, staccata dalla Novecento, è consistita, fra 2001 e 2004, da quaranta metri quadri di deposito libri con annesso ufficio di cartongesso. Giusto per dare la misura di un’impresa culturale nata senza capitali, di una politica dei piccoli passi ancora oggi perseguita, ma soprattutto di una «passione a tutti i costi», anche questa mai spenta.
Qual è la vostra linea editoriale?
La narrativa forma l’asse principale della produzione, con particolare riguardo al romanzo di buona scrittura e buone idee. Al di là di una forte vocazione «territoriale » sarda, rivelatasi tutt’altro che limitante e anzi affiorante in un panorama piuttosto piatto, coltiviamo la narrativa senza limiti geografici, pur cercando anche oltre la Sardegna e l’Italia storie e scritture determinate sotto il profilo antropologico. Di contro, sconforta notare fra i manoscritti in arrivo un certo numero di aspiranti autori che tentano la via della pubblicazione (e quella che ritengono più breve per il successo) confezionando storielle con personaggi di cartone che rispondono ai nomi di Brad, Johnny e Jane, dietro suggestioni cinematografiche o bestselleristiche. Ovvio che non si tratti né di trasfigurazione alla maniera del Maradagal gaddiano, né di una caratterizzazione ambientale volutamente sfumata come quella del nostro Franco Stelzer, dove Hus e Wif (per stare al gioco dei nomi propri), marito e moglie protagonisti di Matematici nel sole, sono emblemi, ma carnalissimi, e comunque legati alla confidenza con la cultura tedesca dello scrittore trentino. «Scrivi (bene) di quel che conosci davvero» è infatti un valido imperativo di cui verifichiamo l’operatività in ciò che valutiamo e pubblichiamo. Sempre che quello che si narra e si conosce sia interessante anche per gli altri e non solo per chi scrive. Perché il difetto opposto della internazionalizzazione superficiale è l’orizzonte ombelicale del racconto.
Viviamo nell’epoca delle facili pubblicazioni, in che modo un editore può salvaguardare l’autenticità della cultura?
Il modo è appunto quello di rendere «difficile» la pubblicazione, per mezzo di una selezione a maglie strette. L’editore, in tal senso, svolge funzione di garante per i lettori. Il lettore attento ed esigente lo sa, e per questo nell’acquisto dà fiducia a un marchio editoriale. La vostra casa editrice dà ancora spazio (fiducia) alla poesia. In che modo è possibile riconoscere un vero poeta e, conseguentemente, selezionarlo per la pubblicazione? La poesia occupa di necessità un piccolo spazio nella nostra produzione, ossia nel catalogo di una casa editrice che si regge sul mercato, e le vendite di libri poetici, si sa, non bastano nemmeno a rifondare le relative spese di stampa. Eppure, sì, resistiamo anche su questo fronte, dove d’altronde non mancano sorprese, per così dire, commerciali. Un giornalismo culturale attento dovrebbe ad esempio occuparsi di un Alberto Masala che in meno di un anno esaurisce 1000 esemplari del suo Alfabeto di strade, in questi giorni infatti in ristampa. Poi c’è il caso della grande stima e popolarità di cui ancora gode in Sardegna la poesia in lingua sarda (Sardegna terra di poesia poteva intitolarsi un’antologia degli anni Cinquanta del Novecento), specie quella del passato, cui noi dedichiamo nuova attenzione critica e filologica nel riproporla, così che in sei anni l’edizione di un classico come Peppinu Mereu (1872-1901) ha già visto tre ristampe. In quanto al riconoscere un “vero” poeta non esistono metodi certi. In negativo, possiamo dire che poeta è colui che non si ferma alla superficie delle cose. In positivo dev’essere senz’altro un musicista della parola e un alchimista della lingua.
Quali reputate essere - tra i vostri - i libri più interessanti già editi o di imminente pubblicazione?
Quattro romanzi fra loro diversissimi pubblicati nel 2010: Il primo passo nel bosco di Alessandro de Roma (in questi giorni in uscita in Francia per Gallimard col suo solidissimo esordio Vita e morte di Ludovico Lauter); Silvia che seppellisce i morti di Claudio Bagnasco; Dopotutto del collettivo che si firma Elias Mandreu; Mia figlia follia di Savina Dolores Massa. Per la poesia è d’obbligo segnalare la raccolta Terre di andata di Carmine Abate (da poche settimane nelle librerie; un grande scrittore multiculturale, che solo per Il Maestrale ha fatto un’eccezione alla normale collocazione mondadoriana). Per la narrativa appena pubblicata si evidenziano: L’amore del figlio meraviglioso di Bachisio Bandinu (storia di un’intera famiglia sarda che deve fare i conti con la nascita del futuro paradiso dei Vip: la Costa Smeralda) e È colpa di chi muore di Franco Calandrini. Ma ci sarà anche spazio per la saggistica nel 2011, con l’importante volume dell’antropologo Giulio Angioni, Fare, dire, sentire (un saggio sulla diversità culturale). E infine la riproposta con nuove formule dei campioni del nostro catalogo, come la raccolta dei cinque romanzi di Salvatore Niffoi in un solo volume, sotto il titolo I malfatati, al prezzo coraggioso di 15 Euro.
«L’estroverso», Maggio-Giugno 2011
(risposte di Giancarlo Porcu e Giuseppe Podda)