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Settembre 10, 2000
L’universo straccione e dolente di Piracherfa

Duri e dolci come torrone di montagna, pietrosi e vellutati di soave ferocia i racconti di carta di Salvatore Niffoi. Da domani sarà in libreria ”Il postino di Piracherfa” (Editore Il Maestrale, pp. 144, lire 15.000), il suo secondo romanzo dopo ”Il viaggio degli inganni”, memoria e affondo su un’infanzia barbaricina.

Vischioso narrare di uomini e bestie, di fiori e di spine, di voci e di suoni, cascate di parole inventate accostate uncinate che mischiano diavoli e santi. Tormentati dai più acri tormenti, arrostiti o annegati, inchiodati da malesorti beffarde, paesani e confinanti sgranano tutto il rosario dei peccati capitali e delle punizioni divine e terrene, dando luogo a un teatro dell’umano in cui tragico e comico si stringono nel loro inspiegabile nodo. Tra graniti che confondono case e campagne, tra fiumi seccati o in piena travolgente, in chiese sconsacrate abitate da una santeria in orbace, si contorcono i destini di una comunità e dei suoi grotteschi balli tondi.

A Salvatore Niffoi non basta la lingua italiana, neanche a mischiarla col dialetto barbaricino. Nella sua forza poetica, nel suo infilare cento storie in una storia sola, ha bisogno di inventare parole, generare nuove razze di verbi, impastare con scura creta le sue statue di cera d’api. Per mettere in scena la sua commedia umana affollata come le opere liriche al momento del coro, si affida a uno stile espressionista tinto di ironia e carico di lirismo. I suoi personaggi scolpiti a leppa conoscono la pazzia e la saggezza e coniugano i loro giorni terreni con le ombre non eteree di tutti quelli che del paese hanno calcato i cortili e le tanche e magari se ne sono andati al Creatore per un colpo di coltello avvinazzato. Esistenze di poco conto, mestieri di poveri, maghe, balentes, contadini di campi di pietre, gente di molta miseria e poca scuola, pane strofinato col lardo e ferite sterilizzate con acqua di corbezzolo, eroi del nulla che riversano nelle pagine di Niffoi una lettura che diventa emozione.

Ne ”Il postino di Piracherfa” Melampu Camundu si sveglia in mattinate gelide ingollando caffé riscaldato, ma si impomata i bei baffi a manubrio con olio d’oliva e lucido da scarpe.Trascurato e troppo grasso Melampu, senza mai moglie né figli, postino di paese e appropriatore indebito di corrispondenza non sua. Legge lettere di destinatari morti e risponde in nome e per conto dei defunti, sostituendo alla sua misera vita la misera vita altrui, stupito protagonista di un giallo in gambali e di una fiaba maligna.

Missive da tutto il mondo, echi di avventurose amicizie che a Melampu forniscono sensazioni e parole d’amore che riempiono il vuoto di cinquant’anni di solitudine.

Piracherfa è un posto che si spaventa quando viene l’alba e quando viene il buio, piena di vicoli pietrosi dove arriva solo un sole stanco e la voce del postino poeta. Portatore di sogni e mite solitario, Melampu Camundu, come tutti i suoi simili usciti dalla penna di Salvatore Niffoi, non riesce a sfuggire alla coda del diavolo nemmeno stando in disparte e nutrendo di qualche gioia la sua semplicissima esistenza e si ritrova in un sabba di streghe che gli mangia la vita e il cervello. Insidiato dalla sua capoufficio, signorina Rosa Sagritthu, nera pelosa e inrossetata, e inseguito dai ragazzini del paese, nonostante sia un mezzo letterato, avendo fatto sino alla seconda liceo e da anni vada scrivendo un suo poema sul Nulla e sul Kaos. Si vede sospettato di due delitti misteriosi e strani, strani anche per la smagata popolazione di Piracherfa, assuefatta alle soluzioni rapide e ufficiose. Prima annientato e poi inferocito, Melampu Camundu risolve a suo modo la nera vicenda incantata.

Cerusico pietoso, Niffoi dissimula sotto l’asprezza delle sue storie paesane un profondissimo amore per l’universo straccione e dolente che popola la sua vena fantastica. Raccoglie con mano capiente memoria, leggenda, le cose sentite, le ombre intraviste ai fuochi dei camini restituendo loro la dignità di protagonisti.

Con metodo omeopatico, raccoglie il male del mondo e lo passa al setaccio dell’indulgenza, trovando, anche lui, che la vita si sconta vivendo. Stratificati come siti archeologici, i libri di Niffoi hanno un umorismo di fondo - riso sardonico, of course - che aggiunge al pathos l’ironia, in intrecci sorprendenti e imprevedibili.


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