Se c'è una cosa che certi poeti dimenticano è che non basta mettere in riga le parole, o accontentarsi di certa facile musichetta ritmica, per fare poesia.
Dimenticano, soprattutto, che la poesia non è solo ispirazione, ma ha le sue geometrie interne e le sue regole. E ha dei contenuti che, senza quelle regole, non potrebbero prender forma. Il frutto miracoloso della poesia nasce dunque da un equilibrio difficile e spesso precario tra contenuto e forma.
Un'ottima guida per chiarire con rigore scientifico i termini della questione è il libro di Giancarlo Porcu Régula castigliana, da poco uscito in libreria (Il Maestrale, 2008). Si tratta di un'analisi serrata, da un punto di vista rigorosamente formale, della poesia sarda e spagnola tra il Cinquecento e il Settecento. Porcu, come precisa nell'introduzione, sceglie un tema particolare, la metrica, e all'interno della metrica un settore specifico, la strofica, anzi la strofica comparata, visti soprattutto in relazione con le tradizioni sarda, spagnola, catalana e italiana, e secondo un taglio che va ben oltre la sola analisi formale, dal momento che tien conto anche delle variazioni storiche e sociali. Difficile fare una sintesi del libro per il suo carattere strettamente formale.
Ma è corretto precisare che è proprio il suo rigore scientifico a dare una svolta metodologica all'analisi delle forme strofiche e poetiche. Sfilano così sotto gli occhi del lettore schemi incredibilmente variati, in cui ciascun verso si presenta come realizzazione di un sistema complesso, dalla sesta torrada alla battorina, dalla cantada alle sue numerose variazioni (cantada distesa, longarina e, in area sassarese, la gobbula), alla glosa, che l'autore definisce "un commento in versi di un testo". La glosa (o glossa) parte da una breve proposta tematica, pesada, in genere di quattro o più versi, per una rielaborazione in altrettante strofe, ciascuna delle quali si chiude con la ripresa di un verso della pesada.
Porcu riporta un'intera sestina glossa, che Enrico Costa definisce "stupenda" (cfr. la versione dello Spano su "La Nuova" del 17/07/08), del poeta sassarese Sebastiano Branca (1738-1816), attribuendola, su suggerimento di Bardilio Dettori, a un altro poeta sassarese, Proto Farris, morto suicida a ventidue anni.
Trascrivo così, semplificando l’ortografia, la prima strofa, che contiene il tema via via ripreso a chiusura delle strofe di nove versi: "Divviru a ca t'ha mandaddu / chi comu isthoggu edda sa / chi è superfluu priguntà / comu stia un disdicciaddu (Diglielo a chi ti ha mandato / che come sto lei lo sa / che è superfluo domandare / come stia un disgraziato)". Una guida preziosa quella di Porcu, per chi si interessa di poesia sarda, vista, una volta tanto, in termini scientificamente corretti.