Un libro di poesie, anzi di poesie e “proesie”, Terre di andata (Il Maestrale, 2011, euro 14). Ho incontrato per la prima volta Carmine Abate al Salone di Torino; stavamo entrambi guardando i libri di uno stand. In precedenza ci eravamo solo sentiti per telefono. Una lunga chiacchierata e alla fine la passeggiata tra i libri è terminata allo stand di Radio Svizzera, dove una giornalista attendeva Carmine per un’intervista. Conoscevo di Carmine La moto di Scanderberg, tradotto tra l’altro in olandese e uscito per Serenalibri. Ma le sue poesie non le conoscevo. Il titolo è strepitoso, almeno per uno come me che vive ossessionato dal ritorno. La copertina ha assieme qualcosa di discendente e ascendente, tre soffioni, tre barbe di becco dovrebbero chiamarsi, che si spogliano al vento e le cui parti volano via, ma così come si vedono nell’aria sembrano paracaduti, alcuni vicini, altri in lontananza, ma tutti che si abbassano verso il suolo.
Scrittore plurale, dice la quarta di copertina (arberesh calabrese italiano tedesco-germanese trentino). Il grande viaggio, viene subito in mente, di uno scrittore che ha vissuto a lungo in altri posti, emigrato in Germania e in Trentino. Uno di quelli abituati a tornare dal momento in cui parte, insomma. Anche se fin da subito, con Alla fine, quello che assomiglia a uno spostamento attraverso l’Europa, Abate ce lo mostra come il “viaggio nel mio cuore”, viaggio attraverso una geografia interna, quella che non si riesce a spiegare, ma solo a raccontare, come la vita.
Un libro che non leggerete in un fiato. Abate, Tabucchi, Fenoglio. Ci sono libri che ti fermano, ne leggi un pezzo, un verso, una poesia, una mezza pagina e devi stringere gli occhi perchè le parole ti portano lontano, dentro. Sono libri come i torrenti che ogni tanto lasci la corrente e prosegui per un ramo del corso che ti sei inventato tu. Anche la poesia che segue Alla fine è quella dell’anima, ed è quella del titolo. Un figlio risponde alla madre da una terra straniera, la data è Bielefeld 8-1-1979.
Terre di andata finisce per essere un libro attualissimo, come ogni storia che racconta la disperazione dello sradicamento e la lettura del paesaggio, quando questo non riesce più a compensare nulla. Ci sono le città di Amburgo e Bielefeld, i cieli di un Nord che conosco, ma anche luoghi che attendono o hanno atteso Abate, Cles e Carfizzi. Tante poesie, leggo nella nota di Abate, sono state scritte in treno, sui biglietti ferroviari. “durante i continui viaggi da Colonia a Besenello e ritorno, per ammazzare il tempo e le nostalgie…”
Questo libro è una chiave, la maniglia che apre all’alta prosa di Carmine Abate. Quattro sezioni. Dimore tra me ( 1979-1987 ), Dimore di me (1977-1979), Di more (1986-1995), Dimore di noi (1989-1979). “Siccome mi piacciono le storie corali e circolari,” sostiene l’Autore per Dimore di noi, “ho voluto riportare i testi di questa sezione in ordine decronologico…”
Ho scritto all’editore per ottenere il permesso di pubblicare qui di seguito qualche poesia, magari una per ogni sezione, ma la mia mail non è giunta. Ci sono mail che sono di solo andata. Sarà per un’altra volta, magari quando scriverò qualcosa sul libro di poesia di Sergio Azteni, Versus, anch’esso pubblicato da Il Maestrale.
Non chiamarmi prosaico
se non riesco a sognare
immagini fantastiche
di viole profumate
Sento odore di sterco
e non posso scappare
1979
(da Cosa, Terre di andata)