E' un Cattivo cronista, ma un'eccellente canaglia. Si muove nei corridoi frenetici di una redazione, viaggia tra le fonti arcane di un'ex vocazione, rovista tra (poche) nobiltà e (molte) miserie, ma è qualcosa di più di un giornalista. Potrebbe essere un medico o un carpentiere. L'albo professionale è irrilevante. Rodolfo Saporito è semplicemente una specie dei nostri tempi. Sottospecie "cialtroni", razza antica. Forse per questo - qualche conto va pagato comunque - si presenta subito con un certo numero di fratture. Praticamente in coma. Chi l'ha conciato così? E perché?
Saporito è un giornalista per comodità, perché l'autore del romanzo, Francesco Abate, è un giornalista e conosce dunque i codici, i dritti e i rovesci del mestiere. Meglio ancora, il Cattivo cronista è un cittadino. Un cagliaritano. E il suo "ambiente" non è l'open space di un quotidiano, ma la metropoli. O quella che vorrebbe essere una metropoli, scegliendo spesso la strada più fangosa. Se maledetto è il cronista, maledetta è la città. Facile ricordare Il cattivo tenente, un film duro e plumbeo di Abel Ferrara. Forse il titolo, un'idea, è nata in quell'atmosfera.
«No, non si tratta di un giornalista che parla di un giornalista», sottolinea Abate. E «non ci sono modelli lontani o recenti di riferimento». Il personaggio «sta a me quanto la redazione che descrivo sta all'Unione Sarda. E cioè nulla». Saporito, detto Rudy (che «fa tanto cafone» e italo-americano deteriore), è un frammento di Italietta, che ha capito perfettamente come ci si agita nell'Italietta, tanto più se provinciale. «Totalmente amorale, cinico, con momenti involontari di poesia». Usa il suo mestiere per ciò che può dargli, neppure in grandi proporzioni. Vantaggi minimi, consumi superficiali, e sempre molto, molto, personali. Caratteristica principale, «la determinazione». Un passo avanti rispetto agli altri personaggi di Abate. In Mister Dabolina, romanzo d'esordio, compariva un avvocato suo malgrado, in Ultima di campionato, sceneggiatura da Premio Solinas, un calciatore suo malgrado. Qui sgomita «una figura assolutamente determinata», dagli obiettivi forse microscopici ma sicuramente lucidi.
Figura estrema? Piuttosto un "santino", come sono definite in gergo le foto di esemplari da pubblicare, di un album più ricco. In pratica, «è un'altra fotografia di Cagliari, e del suo ceto borghese, che più mi affascina». O indigna, da buon cagliaritano. «Un ceto che ha condizionato la vita della nostra città, nel bene e nel male. Cagliari ha, sotto tutti i punti di vista, straordinarie potenzialità, sistematicamente strozzate da chi l'ha governata. Sui banchi del Municipio ma soprattutto fuori. Colpevole, secondo me, è un modo radicato di pensare e di essere». Città d'affari. E spesso «affari di famiglia». Abate affronta la questione ellitticamente, «più che dirlo lo faccio intendere». L'obiettivo del libro è proprio questo, a parte la gioia di raccontare: «Contribuire un po' alla descrizione di Cagliari in questi anni».
Il fatto è che, dalla folta e smagliante schiera di scrittori sardi contemporanei, l'Isola è esplorata in lungo e in largo, la città invece, Cagliari in particolare, rimane sullo sfondo. Sergio Atzeni è un'eccezione, «il numero uno». Bellas Mariposas è tra i pochi tentativi (riusciti) di entrare a vele spiegate nel cemento cresciuto senza armonia, nelle turbe urbane, di collegare l'idea di identità a ciò che succede oggi, in una città particolare ma parte di un universo che si uniforma, sopportando più squallori che grandezze.
«Massimo Carlotto è entrato nel tema col Mistero di Mangiabarche, Flavio Soriga lo vede con un occhio esterno, Giulio Angioni ugualmente. Segnalo poi La mezza stagione di Cristiano Bandini, che ha vinto il Premio Gianfranco Cocco. Provo anch'io a raccontare la "bidda" metropolitana, perché sono cagliaritano e sento questo problema. Forse vedo un pezzo e non tutto il resto, ma ci provo. E comunque non considero questo romanzo un traguardo, solo un passaggio». Con qualche certezza in più sulle opere precedenti: «Mister Dabolina è nato con buone intenzioni, non tutte perfettamente centrate, e qui, se si vuole, faccio il mea culpa. Ho capito comunque dove non dovevo andare, e non rinnego niente». Tanto più che il romanzo è stato un buon successo di vendita.
Se Mister Dabolina era buonista, nel Cattivo cronista trionfa il cinico, in uno sfondo noir che però non fa del libro un noir in senso stretto. Il "cialtrone", trent'anni d'età, è il prodotto di una ricca famiglia di avvocati, benessere conquistato senza eccessivi scrupoli. Agisce tra i marmi grigi del palazzo di giustizia, urta «alcuni fatti di cronaca che hanno segnato la fine del millennio a Cagliari», episodi marginali ("manipolati" per la finzione, riconoscibili dai lettori più attenti) ma che «segnalano un malessere generale». Attorno, il suo alter ego, uno spacciatore di cocaina, la collega di cronaca giudiziaria («cattocomunista fervente, il personaggio più simpatico e quello che amo di più»), una poliziotta, varie comparse.
Rudy fa capolino in redazione e "gira" molto in città. Approfitta del suo ruolo, ma va oltre, «vuole ingrossare il suo ego, non avere fastidi, essere sempre sulla cresta dell'onda». Eppure ha pure qualcosa di nobile: vorrebbe essere scrittore. Autentico. Peccato che, quando propone qualcosa, sia sistematicamente bocciato. C'è un sogno anche per lui, come per il protagonista di Ultima di campionato. I suoi racconti li leggiamo nel romanzo. Così come seguiamo la sua esorbitante voglia di "apparire".
E qui c'è l'altro aspetto di Cagliari che interessa Abate: «La sua vocazione all'effimero, al mondano, più di qualsiasi altra città della stessa importanza. Facciamo i conti: 130 locali notturni, un'enormità, per meno di duecentomila abitanti. E gran parte di questi sono frequentati per lo struscio, per mostrarsi con l'abito alla moda, il telefonino, la macchina, la ragazza alla moda. Si volesse monitorare questa città, si costruirebbe uno splendido "Grande Fratello". Va da sé che certi discorsi, solidarietà, equità sociale, trovano qualche difficoltà a imporsi».
Detto da uno scrittore, vale la pena ripeterlo, che odia Cagliari ma non può farne a meno. Perché ha qualcosa che la distingue, perché pretende di essere metropoli ma conserva la vivibilità. Non è un caso se gente come Carlotto ha scelto di vivere qui». Come si si risolve, come la risolve il romanzo, questa contraddizione? «Non c'è redenzione. La melma che poteva venir fuori torna nel bollitore». La "bidda" metropolitana rimarrà uguale a se stessa.