Forse Versus era il titolo più appropriato per una raccolta in qualche modo definitiva dell’opera poetica di Sergio Atzeni. Versus, ovvero “versi” in sardo campidanese, ma anche versus, “contro”. Nella sua doppia radice di legame con la “calaritanità” e la sua terra di appartenenza - “l’isola che credevo (forse non a torto) necessaria alla mia sopravvivenza” - e di afflato esistenziale che ha accompagnato sempre, fino alla fine, il percorso letterario, politico, poetico e umano di Atzeni, scrittore “sardo, randagio, anarchico”, come ebbe a definirsi una volta in una breve nota biografica del dattiloscritto di Campane e cani bagnati. E ovviamente è una “titolazione conveniente a un conglomerato postumo di testi poetici”, come ha scritto Giancarlo Porcu che ha curato il volume, uscito di recente per Il Maestrale (Versus, 256 pp, 15 euro).
Il libro cerca di radunare il meglio della produzione poetica di Sergio Atzeni, con una cura filologica molto attenta, opera appunto di Porcu che di mestiere fa il filologo, oltre che l’editore. E il libro contiene degli apparati critici corposi, oltre ad una nota al testo molto approfondita. Il nucleo centrale consiste ovviamente nella raccolta de La gallina di Ludovico Lobina, che contiene testi noti come Mi basta saper suonare a malapena una tarantella, Due colori esistono al mondo, il verde è il secondo. Ma ci sono anche svariate “poesie escluse” e testi rari. Del resto l’impegno poetico di Atzeni è andato avanti per una ventina d’anni, fin dal 1976 che fu l’anno della scrittura di “Quel maggio 1906”. Si tratta di un’opera scritta in occasione del settantesimo anniversario dell’insurrezione cagliaritana del 1906 e venne rappresentata durante la festa dell’Unità nel piazzale del Bastione di San Remy, poi pubblicata l’anno successivo per le Edizioni Edes. L’opera si basava sulla ricostruzione storica di Giuseppe Podda - giornalista e dirigente del Pci - di quella rivolta popolare che coinvolse i cagliaritani contro il caro-prezzi e il razionamento dei beni di prima necessità. Già allora si individuavano alcune delle caratteristiche fondamentali dell’Atzeni scrittore, ovvero quella necessità di andare a rileggere, riscoprire le storie del patrimonio sardo (e cagliaritano), quelle storie che secondo lui andavano raccontate per delineare la fisionomia di un popolo, di una terra. E se l’impegno sulle storie è fondamentale, non meno importante quello sulla lingua, di cui nel volume c’è testimonianza nei vari mutettus raccolti e sistemati da Porcu. L’opera si intitola Zezeras i storieddas i kantus de amorau i muttettus (“Ciliegie e storielle e canti d’amore e muttettus”) e fu data alle stampe nel maggio del 1984 in edizione artigianale fotocopiata e numerata dallo stesso Atzeni, con introduzione che recitava così: “La poesia è azione clandestina, sabotaggio, sfida perdente all’ordine delle cose, e questo libretto è clandestino”. Il muttettu è “l’espressione più tipica della poesia popolare sarda meridionale (campidanese)” e quello che colpiva in particolar modo Atzeni era l’“assennata follia” di quella forma poetica, così carica di nonsense e di assurdo.