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Con Servabo si apre la sorprendente produzione letteraria di Luigi Pintor, radunata negli anni 90 del Novecento, dopo un lungo ed intenso lavoro politico e giornalistico. Servabo significa «conserverà». Intorno alla parola latina, misteriosa per il Pintor bambino che la legge scritta sotto il ritratto di un antenato, si condensa il senso profondo di questa distillata «memoria di fine secolo». Dall'infanzia sarda alla morte del fratello-padre Giaime, dalla guerra di liberazione agli entusiasmi e ai dolori della vita politica e privata, il passato si raccoglie per rivivere nel dovere della memoria, tra la dolorosa applicazione del diritto a ricordare e l'indulgere alla debolezza del ricordare. Ma la smorfia ironica e la sprezzatura di Pintor sottraggono questa escursione alla dimensione di un compiacimento eroico e senile, allontanano quasi con metodo la retorica di ciò che è stato e non è più. Perché Servabo è la riattivazione di una memoria storica, è il pudico ma potente atto di rivendicazione di un'esperienza collettiva ed individuale contro strumentali rovesciamenti di senso.
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