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Dicembre 5, 2017
Con la "cantones" di Pisurzi rivive la grande poesia di un maestro della lingua sarda

Pubblichiamo una parte della prefazione di Paolo Cherchi al volume "Le canzoni di Pisurzi" pubblicato dalle Edizioni Il Maestrale.

 

Non c’è dubbio che le ricerche di filologia sarda abbiano conosciuto in questi ultimi decenni dei successi mai prima registrati. Ma quest’edizione di Giancarlo Porcu attinge l’apice di tale tendenza, e bisogna salutarla come un vero monumento. Non conosco altri testi di autori sardi che abbiano ricevuto un’attenzione così magistrale e capillare da porsi come modello per operazioni simili. E non sarebbe da tutti mettersi sulla pista del nostro editore. Giancarlo Porcu ha qualità da filologo stagionato e impeccabile, dotto e rigoroso, pertanto la prima qualità che si richiederebbe a chi voglia seguirlo è un tirocinio strenuo in tutti i campi della ricerca filologica, da quella linguistica a quella ecdotica. Chi conosce le sue edizioni di Pascale Dessanai, Peppinu Mereu, Antonio Cano, Sergio Atzeni non troverà infondati questi miei apprezzamenti.

DAGLI ARCHIVI. Pisurzi, il parroco di Bantine suo paese natale, è un autore ben presente nell’Olimpo sardo. Eppure ciò che sappiamo della sua vita e quello che riusciamo a trovare dei suoi componimenti è molto poco. E a proposito, qual era il suo vero nome e come dovremmo scriverlo, Pisurci, Pisurzi, Pesucciu, Pisutzu? Eccoci al primo problema e al primo incontro con la filologia di Giancarlo Porcu. La quale si àncora alla fortissima tradizione italiana dei filologi romanzi, oggi unanimemente riconosciuta come la migliore del mondo. Quindi come quella filologia insegna, la prima cosa da fare quando si editano testi è stabilire l’identità dell’autore, perché conoscerne la vita e l’attività offre quasi sempre un sussidio notevolissimo per la lettura della sua opera. Ma Giancarlo Porcu non ama la ricerca filologica che lascia a metà strada: la biografia che traccia del suo autore dà un primo saggio delle sue conoscenze di archivi, di linguistica (si veda come ricostruisce l’origine di quel nome e quale veramente debba essere) e di storia culturale; e grazie a questo rispetto verso i dettami della filologia, abbiamo finalmente una biografia attendibile, rigorosa e in tutto degna della miglior scuola storica e filologica.

I TESTIMONI. E dalla scuola Giancarlo Porcu segue le norme su come procedere all’edizione. Il primo passo è il censimento dei testimoni. Un primo risultato di questa ricognizione esaustiva è il rinvenimento di testimoni e di testi nuovi nonché di versioni nuove, rinvenimento che consente a Porcu di aggiungere ben altri dieci componimenti ai nove che costituivano il canone della vulgata del corpus pisurziano.

MATERIALE PREZIOSO. Ma prima di arrivare ai testi bisogna leggere la Nota linguistica. Il capitolo si giustifica perché un testo critico si consulta sempre con una preparazione linguistica che non vuol dire semplicemente “capire una lingua”, ma conoscerla storicamente, nel suo tempo, nelle sue circostanze, nella forma in cui rappresenta i suoi suoni specialmente quando non esistono “norme” da seguire. Le numerose e acute osservazioni che l’editore fa in questa Nota e nel commento ai testi saranno materiale prezioso per chi vorrà occuparsi del problema della scripta settecentesca nel logudorese.

LA METRICA. Importante e altamente tecnico è il capitolo sulla metrica. Sull’argomento Porcu è una vera autorità, titolo che si è guadagnato con il suo studio sulla Régula castigliana. Poesia sarda e metrica spagnola dal ’500 al ’700. Naturalmente non è un pretesto per mostrare competenze così alte, ma è un altro elemento che illumina la sapienza artistica del nostro autore.

E finalmente i testi. In una prima parte sono i 19 testi ritenuti autentici, mentre in una seconda parte sono relegati i testi ritenuti dubbi. Ciascun testo è preceduto da una rassegna circostanziata dei testimoni, quindi una discussione sulla situazione testuale, l’edizione, la traduzione e le note; in apparato le varianti. Non mancano i problemi testuali, dall’identificazione di errori, al colmare qualche lacuna, e specialmente alla decisione imposta da due lezioni aventi peso più o meno uguale (adiafore).

SAPERE LINGUISTICO. In questi casi non risolvibili stemmaticamente, ossia col criterio della maggioranza dei testimoni, il filologo deve usare il suo judicium che dà sempre la misura della qualità di chi lo formula. Il genio del filologo sta proprio nelle sue proposte di emendamento, e Giancarlo Porcu ne offre alcuni casi di autentica genialità, corredandoli sempre del suo sapere linguistico e di ciò che può avvenire nella trasmissione di un testo. Non ho trovato un solo caso in cui dissentire dalle soluzioni proposte da Porcu. Anzi devo dire che quando qualche volta mi è balenata una soluzione diversa, dopo qualche ripensamento gli ho dovuto dare ragione. È un’esperienza che farà ogni lettore, il quale uscirà ammirato dal rigore e dall’intuito filologico dell’editore.

UN MONUMENTO. Forse il lettore rimarrà ammirato ma un po’ stordito dall’attenzione che l’editore dedica a tutti gli aspetti senza trascurare mai niente. C’è quasi un elemento di “puntiglio” di integralità che ad alcuni potrebbe sembrare sproporzionato rispetto alla qualità del corpus editato: dopo tutto le cantones di Pisurzi non sono il Canzoniere di Petrarca. Ma niente di più sbagliato. Come il medico non rinuncia a utilizzare al meglio la sua disciplina perché il paziente che esamina non gli sembra meritevole delle sue cure, così la deontologia del filologo non consente che la qualità del suo oggetto di studio determini la qualità del suo impegno. La filologia è sempre la stessa e ha sempre gli stessi fini che sono quelli di restaurare nel suo essere originale un dato del passato. Ed è quello che fa Porcu col risultato di “monumentalizzare” il nostro Pisurzi. Io non sarei in grado di aggiungere una sola virgola allo splendido lavoro di Giancarlo Porcu, e per fortuna non sembra ne abbia il bisogno; ma non permetterei neppure che qualcuno gli togliesse una virgola o un dato che potrebbe sembrargli superfluo: nessuna di queste operazioni sarebbe giustificata perché la perfezione non tollera aggiunte o detrazioni.

(pagina a cura di Costantino Cossu)


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