Angioni, di professione antropologo e autore per questo di romanzi tra i più stimolanti e densi di contenuto della nostra recente letteratura, narra qui di un tempo lontano, il 1258, come evocato dalla testimonianza, settant’anni dopo, dei sopravvissuti a una storia esemplare, un “sacro esperimento” involontario di utopia realizzata, anche se per una breve stagione.
Nella guerra che oppone pisani e genovesi per il dominio sulla Sardegna, un piccolo gruppo di fuggiaschi si insedia, dentro il mutevole paesaggio dello Stagno di Cagliari, nell’isola dei lebbrosi, massacrati dagli assedianti, e lì costruisce una piccola comunità in cui convivono cristiani, ebrei, musulmani, bizantini, ex schiave e mercenari tedeschi in fuga, giovani, vecchi, bambini e un cane che sa scovare le polle d’acqua potabile. Professioni che rinascono, abilità che si riscoprono; e rapporti con i paesi di costa, nel mentre la guerra continua. Finirà male, tutto muta sempre e nulla si ferma, nella storia, ma proprio per questo tornano attuali esperienze esemplari e positive.
In Angioni romanzo storico e riflessione morale e civile si integrano in una narrazione rapida e avvincente, non predicatoria, fitta di figurine vive, non schematiche. Dopo l’ultima guerra, Vittorini scrisse su un tema simile Le donne di Messina. Tutto muta ma certi modelli ritornano, e continuano ad aver fascino e senso.