Con la solita pipa in bocca e uno sguardo di altri tempi Luca Ciarabelli arriva all'appuntamento e accetta suo malgrado di fare quattro chiacchere in un "bar da fighetti". Ma tanto non importa.
Nella sua narrativa, e sopratutto nel suo secondo libro "Il paese dei Pescidoro" (Il Maestrale) che viene presentato venerdì 27 novembre alle 18 alle librerie Coop del centro commerciale Esp, presente, passato e futuro si mescolano. Se credete che la storia sia ambientata durante il regime fascista, vi sbagliate. Leggendo vi accorgerete che la potete collocare in più epoche. A Ciarabelli, sarebbe piaciuto vivere alla fine dell'Ottocento, l'era dei grandi romanzieri. I Libri, c'è poco da dire, lo hanno formato come nient'altro al mondo: "Ho passato la giovinezza più a leggere che a vivere". È tra una pagina e l'altra che si è insinuato l'amore per la letteratura sudamericana: "García Márquez è per me una sorta di padre, il più grande scrittore di questo secolo". Nessuna pretesa di adesione al realismo magico ma Villatiferno, il paese sugli Appennini in cui è ambientata la seconda fatica di Ciarabelli, ricorda l'invenzione di Macondo, la città immaginaria di Cent'anni di solitudine".
Ma ogni paragone è per lo scrittore di Città di Castello (ma per "esigenze di vita" ravennate ormai) fuori luogo: "penso a Márquez e mi chiedo se io possa considerarmi uno scrittore. Certo che no, è una parola inflazionata. Ho troppo rispetto per la letteratura per definirmi tale". Luca, piuttosto, è un vorace lettore: "Per chi scrive l'unica scuola è la sacrosanta lettura. Sembra un'ovvietà ma per molti non è così". E non ci si imporvvisa: il primo libro "Il bambino che fumava le prugne", gli è costato un lungo lavoro sulla lingua. Che prosegue tutt'ora: "Non mi piace la scrittura sincopata che va tanto di moda, amo le parole. anche se ho in testa una frase, ho bisogno di modellarla". "Il paese dei Pescidoro", non a caso, è stato scritto con 5 dizionari accanto al computer: analogico, etimologico, italiano-spagnolo, sinonimi e contrari (in entrambe le lingue). Se non sapete cosa significano "inciprignire", "cianciugliare", "infrollire" (sono solo alcuni esempi), ne capirete comunque il senso. La scrittura di Luca, infatti, se può apparire desueta, risulta comunque scorrevole. E riesce a raggiungere lo scopo di far ridere: "Credo non si possa parlare di certi temi senza itùronia, si rischia di sconfinare nel patetico". Tra quelli che stanno a cuore allo scrittore (siamo noi a chiamarlo così stavolta) ci sono il bigottismo, la falsità, il conformismo, lo scontro tra i poteri consolidati: "Mi sono sempre sentito alieno a tutto. Per la società attuale sono un diseredato. Non ho un mestiere, non ho un posto fisso. E pago il prezzo di essere una mosca bianca". Tranne quando fugge nel suo rifugio preferito, Puerto Angel, in Messico: "Là capisco che si può davvero vivere in un altro modo. quello sarà il posto in cui morirò, ne sono certo".
Per ora Luca, 38 anni, resta nella sua stanza: "Quando scrivi ti devi sentire Shakespeare. Ma quando esci dalle tue quattro mura, comincia lo sconforto". E i piedi tornano per terra. Al presente. Tanto che non viene da chiedergli i progetti per i futuro. Luca potrebbe continuare a barcamenarsi tra una pubblicazione e l'altra. Oppure tornare in Messico, lontano da tutto, a pescare tonni.