A suo modo è un giallo. Un altro. Stavolta però, è scritto da una donna: colta, matura, appassionata di storia. Anche ostinatamente attaccata alla Sardegna: radici salde e nodose. Lei è Paola Alcioni, nota ai giurati di numerosi premi letterari: «da uno all’altro viaggiano le mie prose», soprattutto conosciutissima ai cultori di poesia in lingua sarda: «Ho vinto i più importanti», anche l’ultimo Ozieri con Salinas, che declama, in campidanese, le inquietudini del poeta. Il romanzo è un giallo storico e s’intitola La stirpe dei re perduti: un capitolo di storia sarda, il periodo è quello della dominazione catalano-aragonese, una folla di personaggi, una vicenda surreale, un solido impianto simbolico. Lo pubblica Il Maestrale che arruola così un’altra donna nella sua celebrata pattuglia di scrittori che esportano nel mondo la narrativa isolana. Questi giorni in libreria (accanto ad altre due novità della casa editrice nuorese: Padre Padrone di Gavino Ledda e La sesta ora di Salvatore Niffoi), il romanzo ha vinto il premio “Junturas”, il concorso letterario per inediti di Orani di cui, il prossimo anno, sarà bandita la seconda edizione. Un altro, dicevamo, perché anche questo dell’Alcioni, che è nata a Cagliari 48 anni fa, ma vive ad Assemini, è una storia a tinte fosche irrorata di mistero. «Un giallo storico» come lo definisce la stessa autrice, che risente, e in ciò si distingue, di una sensibilità femminile affascinata dall’escavazione interiore. Una scrittura ponderata, lavorata come i personaggi, fortemente caratterizzati. E con quelli femminili positivi e salvifici, i maschili, a parte poche eccezioni, inclini al male, nebulosi, negativi. La stirpe dei re perduti di Paola Alcioni è un romanzo complesso, originale e affascinante. L’autrice cuce una storia in cui i fili della realtà si annodano con quelli di una fantasia fervida e dotta. Una filatura finissima e di grande coraggio, meditata e accurata. C’è un canovaccio storico composto con minuzia e rigore e su cui la scrittrice imbastisce una trama originale, con molteplici piani di lettura, ricca di rimandi culturali e simbolici. Il romanzo, e già si intuisce dal titolo, ricostruisce la stirpe dei re perduti di cui parlano le stesse fonti storiche riferendosi alla discendenza dei re taumaturghi che dopo aver regnato a lungo nei territori franchi, si indebolì e dopo l’assassinio di re Dagoberto II (siamo nel 600 d.C.), pur conservando il trono, per qualche anno parve scomparire nel nulla soppiantata da quella dei Carolingi, che erano i loro Maestri di palazzo. Nella penna visionaria di Paola Alcioni questa traccia storica si trasforma in una saga familiare che segna il destino di un popolo. Jorge e Juana Baire, discendenti dei re taumaturghi, giungono fortunosamente a Gurtei, una valle isolata e chiusa al mondo, la corrompono e la distruggono. I due fratelli, unendosi a una famiglia locale, vi instillano violenza, depravazione e morte. Nella prospettiva della scrittrice, Gurtei è la Sardegna e i Baire i molti colonizzatori che vi giunsero. Gurtei è l’isola, il luogo simbolico della solitudine che si compiace di se stessa e dove il rapporto con gli altri, che sono sempre e solo estranei, “istranzos”, sembra sia possibile solo nella forma di un conflitto, di un attentato alla propria identità. È quest’identità che, per vie traverse, il romanzo in conclusione riafferma. Sottilmente. In questo senso l’opera è un romanzo sul sogno dice ancora l’autrice, un sogno sofferto che sconfina a tratti nell’allucinazione. Il desiderio doloroso della libertà di essere se stessi fino in fondo, affrancandosi e purificandosi da un passato che ha fatto scempio di radici.