da Metro
Nella chiesa di Sant'Apollinare viene trovato il cadavere dell'archeologo Asmodeo Baldini, caduto da una impalcatura mentre cercava di distruggere uno dei preziosissimi mosaici della basilica. In realtà si tratta di un delitto: l'uomo è stato ucciso da uno strano veleno che si estrae dalle prugne. Mancava un giallo ambientato a Ravenna, città dalle basiliche dai soffitti d'oro. Ne “Il bambino che fumava le prugne” (Il Maestrale, p. 240, euro 15) Luca Ciarabelli, classe '71, al suo esordio, ambienta nel centro storico di Ravenna una vicenda che ha come protagonista un tenente studioso di filosofia che si serve dell'aiuto dell'anziano Porfirio, che lo aiuterà a dipanare il mistero e a scoprire un pezzo di Romagna lontana dal cliché di mare, divertimento e abbronzatura.
Lei è stato facchino e correttore di bozze, metalmeccanico e interprete. Come è arrivato alla scrittura?
In realtà proprio facendo questi mille mestieri, che ho sempre scelto purché mi lasciassero anche il tempo per scrivere e di viaggiare.
La sua è una Ravenna fittizia, che circolando per le strade non esiste.
L'idea era quella di mescolare le atmosfere da realismo magico assorbite nei miei frequenti soggiorni in Messico, a uno stile verista con intarsi dialettali. In Sud America basta guardare il reale per descrivere una realtà fantastica, qui la realtà è grigia, bisogna colorarla.
Perché la scelta del flusso di coscienza nei dialoghi?
Volevo far emergere un registro diverso, rispetto alle narrazioni dei noir modello sceneggiatura da film, un altro mondo, meno stereotipato e più alternativo.