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Dicembre 29, 2013
Realismo magico ad Aristànis

Sempre più brava, a ogni libro, Savina Dolores Massa: questa volta supera le 400 pagine ma si vorrebbe leggerne il doppio, subito. Anche l’autrice evidentemente non voleva mollare le sue storie tant’è che in un finale sconcertante quanto geniale insegue i personaggi in «un altro cortile», insomma nell’aldilà che non somiglia però a Inferni o Paradisi come di solito ci vengono proposti.

«Quando si racconta bisogna stare attenti a non sbagliare le parole» spiega Peppina che da cieca parla assai: «bisogna scegliere le più belle così si fa un regalo a chi sta ascoltando». Vale anche per le pagine dei libri: Savina Dolores Massa va a cercare – in sardo o nell’italiano – parole, frasi e descrizioni perfette ma quando non le trova ne inventa: sembra che siano sempre state lì, in attesa che arrivasse il momento giusto per usarle, eppure nessuno le aveva viste. Una donna «zoppa d’anima» accanto a un maiale «considerato come primo figlio»; l’inconfondibile «odore del desiderio» d’amore; un gatto che sa quando sparire, tacere o parlare; «il silenzio andò per conto proprio»; la disperata passione di Marco il pescatore; «i tentacoli di una nube malata»; c’è chi, come Petronilla, vive ossessionata «dall’amore altrui»; e c’è Giomaria, «voce da gatto a maggio», che strega ogni donna ma chissà se davvero «è uno spasso» o «nello stomaco ha un nido di bisce»; ci sono «i nervi delle mani svenuti»; e c’è un neonato che «si accinse alla vita con uno sguardo che dovrebbe appartenere solo ai dannati».

Sa usare parole e frasi Maria Carta, che aggiusta ossa e ombrelli: lei «impiegava pochi secondi per esprimere un concetto, là dove chiunque avrebbe faticato almeno un minuto». Un dono che non sempre la sorregge perché «i vocaboli spesso sono latitanti» e già non è facile ascoltare «strazio e gioia» che le ossa raccontano. La sua amica Peppina è brava egualmente e anche se «i familiari dubitano quotidianamente sulla veridicità dei racconti, fu sempre un piacere vederle in bocca le verità mischiate alle bugie». La scrittrice di Oristano invece non fa parlare solo gli umani ma il lavatoio e le susine, respiri e campane, sonno e povertà, due guerre e la miniera, la donna che convive con un uomo nello stesso corpo, l’ammantadora e la tubercolosi («animale affamato»), i treni sognati e quelli reali, le amarezze che «adorano sedere sulle incudini» sino a un sentimento d’amore fra un vivo e una morta che «andava oltre la stessa fermezza mentale»

Il libro di Savina Dolores Massa cattura dalla prima parola: «spacciata», per un tetano infame, è Bonaria ma lei resterà negli specchi di casa e non solo per il marito. «Gli spettri esistono» e non sempre bisogna averne paura. Il fantasma del quasi prete non è venuto sul susino a portar guai, anzi. E a fine libro vi è chi sospetterà che anche Cottédda – il diavolo – forse non era cattivo quando si è infilato in un certo letto. Le storie che, quasi per un secolo, attraversano Aristànis, sanno narrare paure e risate, ci ricordano che «il solo modo per non aver timore della morte è innamorarsene», che il dolore può essere preso per il sedere, che bisogna saper «intrecciare ricordi rendendoli giunchi» anche perché «non sempre la memoria cammina obbediente sulla strada maestra, anzi spesso preferisce fuggire per viottoli demolendo porte» e non la si può comandare perché «la memoria spunta fuori, spesso tarlata, dai fondi dei cassetti».

Donne e uomini in questo libro non hanno incontrato «qualcuno disposto a insegnare loro più del necessario per vivere: mangiare, ridere, dormire, figliare, soffrire, piangere brevemente i morti». Lo scrive l’autrice prima di tre pagine dove scava nelle domande di chi invece, come lei, per privilegio o sortilegio «narra vite sulla carta»: tre intensissime pagine che sembrano aprire porte su altri mondi sconosciuti…. ma chissà se è così importante arrivare laggiù, chiede Savina Dolores Massa: «quale differenza può esserci fra chi ha voluto considerare tutto ciò, evidenziandolo, e chi ha semplicemente chiuso un uscio?».

29 dic 2013 - L'unione sarda | Daniele Barbieri


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