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Due sono le Euridici che il mito e la storia ricordano. La prima è la sfortunata sposa di Orfeo, perduta per troppo amore; l’altra fu la regina di Macedonia che Olimpia, madre potente di Alessandro Magno, perseguitò e fece morire in carcere. Le altre Euridici che la storia e il mito non ricordano sono in ogni luogo e tempo, anche qui e oggi. Una di loro è la protagonista di questo romanzo, che si muove prima, durante e dopo un conflitto bellico non meglio definito, perché l’orrore della guerra non conosce differenze di tempi e luoghi. La donna ci viene presentata in una misteriosa condizione di reclusa in una cella conventuale. Da lì muovono le marce indietro narrative che riportano a una relazione con un uomo “importante”, un amore che sarà un’ingombrante presenza-assenza nella Capitale devastata dai bombardamenti. Dove comandano gli uomini con gli stivali neri impera ormai la legge della sopravvivenza. Sospesa fra desiderio di libertà e paura di non saper essere libera, questa moderna Euridice guarderà alle proprie lacerazioni interiori muovendosi fra paesaggi spettrali, cumuli di corpi e macerie, luoghi ostili distanti dalla rassicurante montagna, dove ancora si respira la vita.