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Dramma in due atti a sfondo storico, Quel giorno a Bugerru (1970) rievoca lo sciopero dei minatori sardi tragicamente represso con le armi nel settembre del 1904. Il malcontento dei lavoratori - costretti a condizioni di vita disumane - è sorto sul regime di assoluta libertà nel quale operano le società minerarie straniere. Nel ritmo serrato dei dialoghi dei personaggi Ruju restituisce tutta la fragilità del rapporto fra i minatori e una classe padronale che vuole dominare sempre, su tutto e fino in fondo. Ma l’arma del ricatto sociale e psicologico, che consente ai “carnefici” di tener saldo il loro equilibrio, ha pure in sé i germi della ribellione. Il senso di profondo disagio che invade i minatori culmina nella rivolta ma il compimento è il definitivo drammatico atto dell’eccidio: che sopprime la ribellione. Il tragico epilogo dei fatti di Buggerru, reso da Ruju con grande suggestione lirica, resta una delle pagine più oscure della storia civile italiana.
Romano Ruju (Nuoro 1935-1974), singolare figura d’intellettuale e scrittore attivo fra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Settanta, impiegato all’ufficio tecnico comunale della sua città, seppe accompagnare alla professione un’intensa e variegata attività di poeta (La danza dell’argia, uscito postumo nel 1974 con prefazione di Giorgio Bárberi Squarotti), narratore (l’autobiografico Il salto del fosso del 1967; nuova edizione Il Maestrale 2024), drammaturgo (Quel giorno a Buggerru 1970 e Su connottu 1972; opere teatrali ripubblicate dal Maestrale rispettivamente nel 2004 e nel 2008), collaboratore presso quotidiani e riviste letterarie, con scritti e articoli improntati a impegno politico e culturale.