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Settembre 3, 2021
La consapevolezza di una comunità dentro il suo «Codice»

Ora che la casa editrice Il Maestrale propone, curata da Giancarlo Porcu e con una prefazione di Paolo Carta, una nuova edizione del saggio di Antonio Pigliaru Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico (pp. 497, euro 25,00), il primo passo utile per avvicinarsi a questo volume (di cui l’ultima edizione risale a venti anni fa sempre per il Maestrale e che raccoglie saggi di diversi periodi) sarà quello di inquadrare storicamente il suo nucleo principale che attiene appunto alla Vendetta barbaricina come ordinamento giuridico (pubblicato nel 1959 da Giuffrè).

LA PRINCIPALE e fondamentale acquisizione teorica di queste pagine è la rivendicazione dell’autonomia delle norme che regolano i rapporti all’interno delle comunità della Barbagia, intese come un contesto socio-economico tradizionale produttore di un ordine giuridico non soltanto perfettamente coerente al suo interno, ma anche (e forse soprattutto, nella prospettiva di Pigliaru) autonomo rispetto all’ordine giuridico della modernità.

Siamo nel campo della demologia giuridica, che Pigliaru attraversa partendo da riferimenti teorici precisi. Tre in particolare: la concezione del diritto come istituzione e la teoria del pluralismo giuridico elaborate da Santi Romano; il personalismo giuridico (il primato del soggetto e dell’azione del soggetto rispetto ad ogni forma di statico normativismo) di Giuseppe Capograssi, maestro riconosciuto di Pigliaru al quale «Il codice della vendetta barbaricina» è dedicato; la sociologia del diritto nella prospettiva indicata da Georgii Gurvitch, i codici giuridici come sistematizzazione normativa risultante da un processo di integrazione sociale.

Queste coordinate teoriche stanno però, a loro volta, dentro un quadro storico preciso, che aggiunge ulteriori determinazioni all’opera di Pigliaru. Quadro che puntualmente Lucio M. Lombardi Satriani richiama nell’introduzione scritta nel 1993 per l’edizione Giuffrè e ora riportata nella ristampa de Il Maestrale: «Nel dopoguerra il movimento dell’occupazione delle terre, le forti spinte separatistiche in Sicilia e in Sardegna la recrudescenza del banditismo in alcune aree meridionali riportano all’attenzione il Sud come problema irrisolto. La cultura progressista o rivoluzionaria ripropone – a livello letterario, cinematografico, artistico, demologico – una condizione umana e sociale densa di drammaticità e sistematicamente chiusa ed occultata. La lezione delle riflessioni di Antonio Gramsci, l’opera di Carlo Levi, l’impegno di documentazione di Rocco Scotellaro e di Danilo Dolci, i risultati dei viaggi etnografici di Ernesto De Martino contribuiscono a fare avvertire il Sud come luogo della cattiva coscienza nazionale».Antonio Pigliaru scrive dentro questo contesto storico. E ciò lo porta a sviluppare, al di là ma in certo qual modo anche coerentemente rispetto ai tre capisaldi teorici che prima abbiamo indicato, una forte sensibilità ai problemi della cultura delle classi subalterne. Una sensibilità che si avverte già viva nel Codice della vendetta barbaricina e che si manifesta ancora più esplicitamente nei cinque saggi che completano il volume edito da Il Maestrale, redatti dal 1959 al 1969 (anno della prematura scomparsa di Pigliaru a soli 46 anni) e tutti dedicati ad approfondire i temi al centro della riflessione dell’opera principale.

PARTENDO DALLA NEGAZIONE di ogni forma di positivismo giuridico per mettere in primo piano la pluralità degli ordini normativi e, soprattutto, la scelta del soggetto dentro un orizzonte in cui all’azione restano aperte opzioni di valore plurime, Pigliaru perviene a una lucida coscienza dell’autonomia della cultura delle classi subalterne. Il debito gramsciano è evidente, così com’è evidente che, al pari dei Quaderni dal carcere, Il codice della vendetta barbaricina si colloca ai primordi di una riflessione teorica che ha rotto molti schemi anche a sinistra e che ha avuto per tutta la seconda metà del Novecento e sino ad oggi sviluppi importanti.

COME PER GRAMSCI anche per Pigliaru riconoscere l’autonomia delle culture pone immediatamente il problema del rapporto tra tutte le fonti di legittimità presenti nello stesso campo storico. Ogni pagina del Codice è percorsa da questa tensione. Che è conflitto e insieme confronto, dialogo, tra ordini normativi. Ma là dove, sullo stesso piano teorico, in Gramsci prevale il conflitto, in Pigliaru vince nettamente il dialogo: nei Quaderni un pensiero rivoluzionario; nel Codice una visione in cui alla tensione fra i poli della tradizione e della modernità non segue il passaggio a un ordine nuovo che entrambi quei poli superi e trascenda. È, quello pigliariano, l’orizzonte che dal secondo dopoguerra a oggi ha orientato gli aspetti più progressivi della gestione dell’autonomia regionale sarda e, più in generale, delle pratiche politiche e istituzionali che hanno segnato il complesso rapporto del Sud d’Italia con il resto del paese.

Costantino Cossu, "il manifesto", 2.9.2021


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